Ciao Willer, grazie per la disponibilità! Innanzitutto, anche se la domanda potrà sembrare scontata visto chi è tuo padre, vorremmo chiederti come ti sei appassionato al mondo dei cavalli e delle giostre.
E’ come dite voi, vedendo mio padre gareggiare la passione è nata naturalmente ed ho sempre cercato di imitarlo.
Un altro dei tuoi grandi maestri è stato Gianfranco Ricci, cosa puoi dirci su di lui?
Beh, ogni volta che ne parlo mi vengono i lacrimoni, è stato la mia svolta. Mio padre mi ha messo a cavallo, Walter Padovani mi ha seguito per un piccolo periodo da ragazzino, ma colui che mi ha fatto capire quale fosse il mio stile, come preparare i cavalli e come correre è stato Franco.
Un rapporto partito con odio, dato che al Rione Rosso dopo il suo “tradimento” ci era sempre stato insegnato che lui era il “nemico”, ci mettemmo anche le mani addosso prima del Niballo del 1996 in cui arrivai secondo, ma da li ognuno dei due capì qualcosa: io che lui poteva insegnarmi tanto, e lui che io mi gli sarei “dato” completamente pur di arrivare alla vittoria.
Da quel momento in poi eravamo insieme ogni santo giorno e, ve lo racconto con la pelle d’oca, riportammo il Palio al Rione Rosso nella giostra seguente, dopo ben 11 anni di astinenza.
Mi insegnò che quando si commette un errore la colpa non è mai del cavallo, ma sempre del cavaliere, dal modo di montarlo a quello di gestirlo: o l’hai preparato male, o l’hai scelto male, o l’hai guidato male.
Alla fine del 1998 mi venne portato via da quella maledetta tachicardia, l’ho avuto con me solo per due anni ma in quel breve arco di tempo è stato un punto di riferimento su tutto.
Come stile assomiglio molto di più a lui che a mio padre, così come nel carattere: papà era per prima cosa il cavaliere del Rione Rosso e solo in seconda battuta Mario Giacomoni come persona, io invece ho preso da Franco per cui viene prima l’uomo che il Rione.
Umanamente era l’anima della festa: quando arrivava lui gli erano tutti intorno. Un vero showman, il tipico romagnolo “patacca” all’ennesima potenza come diciamo noi, se vedeva una donna gli diceva: “ti porto a Faenza sul mio cavallo bianco” e loro cadevano tutte ai suoi piedi. Tutto questo senza mai dimenticare la sua grande umanità ed umiltà.
Tu hai esordito nel 2001 ad Ascoli con Porta Solestà, vincendo nel 2002, cosa puoi dirci?
Fu una Quintana particolare, durata una settimana a causa della pioggia.
Mi ero staccato da Rione Rosso a Faenza e mi allenavo da solo per venire ad Ascoli: avevo acquistato jeep e carrello, e una volta finito di montare nella scuderia rionale andavo a provare altrove solo per Ascoli.
Fu un grande impegno ed un grande sacrificio, ma una volta arrivati a correre i "tempi" venivano da se: eravamo davvero molto, molto veloci e competitivi, difatti stabilimmo il record di tempo per l’epoca, che purtroppo non venne validato in quanto durante la mia tornata si cominciò ad abbattere il temporale, con dei goccioloni enormi che scendevano giu e il conseguente rinvio al sabato successivo.
Si ricominciò da zero la settimana seguente e sia io che Massimo Persichini andavamo fortissimo con tempi che sino ad allora non si erano mai registrati. Al tabellone feci ben tre 80 e ognuno di essi in un assalto diverso nel corso delle tre tornate, questo perché il cavallo tendeva a scomporsi un pochettino.
Mi ritrovai quindi all’ultima tornata che ero sotto di 40 punti e anche io credevo che fosse tutto perduto, se non che Massimo mentre si preparava ad effettuare il primo assalto dell'ultima tornata colpì una tavoletta e voltandosi per guardarla con le briglie si tirò dietro tutto il cavallo uscendo di pista e facendo tornata nulla, consegnandomi la vittoria.
Puoi parlarci di Tiepolo IV, il cavallo con cui vincesti quella Giostra?
Lui rappresenta per me l’impegnarsi da solo per portare avanti l’idea di Gianfranco per la quale il cavaliere prevale su tutto.
Mi ero distaccato col mio Rione a Faenza per fare la Quintana di Ascoli in quanto nell’anno precedente c’erano stati degli attriti tra Porta Solestà ed il Rione Rosso e quindi la mia scelta fu quella di fare tutto in autonomia.
Tiepolo fu un intuizione di Luigi Lattanzi, lo aveva visto in una delle giostrine che all’epoca si facevano nella zona di Ascoli e mi disse “Quel cavallo te lo porto a Faenza e lo alleni”.
Così feci, completamente da solo a partire dal 15 Aprile: era davvero pelle ed ossa, con i “piedi lunghi”, diciamo che il suo padrone non lo aveva mantenuto così bene ma con l’aiuto del veterinario riuscimmo a rimetterlo in piedi e a disputare una splendida Quintana.
Hai parlato di Luigi Lattanzi: due anni fa lo intervistammo e ci disse che anni dopo gli confidasti che mettendoci piu impegno anche tu saresti riuscito a scrivere una pagina importante della storia della Quintana…
E’ completamente vero ed ha ragione: dopo i grandi sacrifici di quella Quintana del 2002 io mi preparavo per la Quintana di Ascoli solo dopo il Palio di Faenza e quindi a partire da Giugno, in due mesi.
Provavo e trovavo cavalli sempre all’ultimo secondo: nell’anno della mia vittoria ci pensò Gino, un anno li chiamai da Sulmona, erano sempre cavalcature in certi casi indovinate e in altre no. Un anno comprai una cavalla, venni ad Ascoli e feci 55.8 con tre 100 (che per l’epoca era tantissima roba) ma nel corso della stessa giostra lei si ruppe, arrivavo sempre “inventandomi” la Quintana.
Con Luigi rompemmo male e pensavo che avesse completamente torto lui, ma col tempo riuscii a capire che non era così e rincontrandoci dopo anni a bocce ferme gli dissi “Avevi ragione te”, sono uno che quando sbaglia lo ammette.
Però non si era ancora arrivati al professionismo attuale...
Per l’amor di Dio, ma purtroppo se vuoi vincere è così. Io ero un semiprofessionista e se vuoi preparare sia Faenza che Ascoli, così come tutte le altre corse a cui partecipavo e davo importanza (ma a scaglioni), c’è bisogno del massimo impegno e dedizione, ormai ci vuole il professionismo. Io lavoravo in un macello, cominciavo di mattina all’alba, spesso anche alle 3 di notte in modo da avere sempre il pomeriggio libero per allenarmi. Quando sono cominciati ad arrivare i professionisti come Luca Innocenzi o Massimo Gubbini, io arrivavo con un cavallo o due, ed erano comunque cavalcature utilizzate in altre giostre, magari pure incerottati, poi il gioco si fa duro.
Tu tornasti a giostrare ad Ascoli nel 2010 per Sant’Emidio, ottenendo due quarti posti, cosa non ha funzionato?
Che mi hanno inchiodato, voglio dirlo con tutta franchezza. Doveva essere qualcosa di stupendo con Ciannavei proprietario dei cavalli, Riccardo Conti allenatore ed io a giostrare, invece non funzionò per niente perché Riccardo ha sempre portato acqua al suo mulino dicendo determinate cose a me ed altre al Sestiere, inoltre non riuscivo ad allenarmi perché ogni qualvolta montavo un cavallo che poteva andar bene, questo con varie scusanti (tipo motivi di salute) finiva a Foligno (come Sensuality Plum) oppure nella sua scuderia, difatti collaboravamo per la Quintana ma a Faenza io ero al Rione Rosso e lui al Bianco.
Mi ritrovai a disputare due giostre con Go Karna che avevo montato solo tre volte perché lei andava in acido lattico solo al pensiero, venne fuori una schifezza totale: avrei dovuto mollare tra Luglio ed Agosto ma mi impuntai, purtroppo facendo una brutta figura, il tutto finì con Riccardo Conti che davanti ad una birra mi disse “Io ho preso piu soldi di te”.
Abbiamo fatto la stessa domanda a tuo padre, ma magri avete prospettive differenti: tu che sei stato l’ultimo Faentino a vincere ad Ascoli Foligno e Servigliano, puoi dirci cosa manca alla vostra “scuola” in questo momento?
La vedo in maniera diversa da mio padre. Al momento di cavalieri buoni a Faenza non ce ne sono: io ero uno che poteva partecipare alla Quintana, fare uno scontro diretto stile Niballo, così come tutte le giostre all’anello o Pistoia, e dove andavo ero competitivo.
Gare completamente differenti tra loro, ma sapevo come dovevo prepararmi e come allenare il cavallo, i cavalieri Manfredi adesso appena si muovono fuori da Faenza corrono malissimo, accade quel che mi ritrovavo ad affrontare io quando “andavo in giro”: cavalieri abituati a fare il loro gioco “in casa” (come Melosso ad Ascoli o Cordari a Servigliano) dove erano molto difficili da battere, ma che poi nelle altre rievocazioni combinavano poco o nulla.
I nostri ragazzi ormai si sono specializzati quasi tutti nel nostro gioco, non sono pronti ad uscire dalle loro mura perché farebbero delle brutte figure.
Di valore ce n’è poco, lo dico brutalmente e a malincuore perché li vedo tutti i giorni, forse l’unico a poter dire la sua è Marco Diafaldi che ha fatto benissimo sia a Narni che a Foligno.
La supremazia di Foligno dipende solo da questo?
Al momento questa supremazia è data dal simbolo che è Luca Innocenzi: un cavaliere che negli anni si è saputo evolvere per ogni tipo di gara. Quando venne a Faenza andò male, ma gli è servito per capire che la vecchia monta “seduta” in stile Faentino in certi momenti diventa utile, e infatti ha vinto a Valfabbrica e a Sulmona dove monta seduto.
E’ l’unico davvero completo che può vincere ogni tipo di gara.
Anche tutti gli altri come Gubbini e Chicchini che vivono di Quintane tutti i giorni e hanno molti cavalli sono di conseguenza superiori ai Faentini e si trovano benissimo ad Ascoli, ancora meglio a Servigliano che avendo l’anello gli è anche più congeniale.
Cosa pensi della nostra Giostra in quanto a tecnica e difficoltà?
Spesso l’errore di chi affronta la Quintana di Ascoli è quello di non circondarsi di persone esperte: se non impari tecnica e linee è un problema. Utilizzo le vostre prove per darvi un giudizio: ho notato davvero tanti cavalieri sbagliare le traiettorie, che ad Ascoli sono fondamentali per fare i tempi.
Diciamo che quattro su sei, al massimo tre su sei quando montavano qualche cavallino più facile li ho visti davvero male. Poi c’è il nuovo sistema di colpire il moro inventato da Innocenzi che è l’unico a consentire di non perdere tempo al bersaglio in quanto permette di non dare dei bei “tironi” al cavallo.
Ascoli non è per tutti: se vuoi competere a Foligno sei all’università delle giostre, ma in una qualsiasi gara all’anello se ne sbagli uno non succede niente, alla Quintana se sbagli l’impatto ti fai davvero male, è un gioco pericoloso se non la affronti col giusto rispetto.
Cosa Pensi di Nicholas Lionetti, tuo concittadino?
Sono felice che ci sia altrimenti noi Faentini non saremmo più da nessuna parte, e indirizzato dalle persone giuste potrà fare molto bene.
Dato che hai assistito alle prove cronometrate, domanda secca: chi vince la Quintana di Luglio?
Innocenzi. Con i due primi cavalli ha fatto non bene, benissimo. In questo momento è un gradino sopra a tutti gli altri che hanno fatto tornate con fortune alterne ed errori tecnici.
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