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Centum sunt

  • Immagine del redattore: Saraceno
    Saraceno
  • 3 ore fa
  • Tempo di lettura: 3 min

Cento Quintane.


Sembra un titolo. In realtà è un traguardo. E, come ogni traguardo, contiene dentro sé anche

una partenza.


Correva l’anno 1955 quando, con un’idea quasi folle e meravigliosamente romantica, Ascoli

decise di tornare indietro nel tempo. Non per gioco, non per folklore, ma per riscoprire il suo

cuore.

La Quintana, nata nel 1377 come esercitazione cavalleresca in onore di Sant’Emidio,

trovava così nuova vita. Si correva allora “pro honore civitatis”, tra le file del popolo e del

clero, tra dispute di potere e devozione, tra colori e clangori, in un Medioevo che non è mai

davvero sparito da queste pietre.

100 giostre dopo, siamo ancora qui. A correre, sfilare, sognare.

CENTO
CENTO

E se oggi celebriamo questo numero perfetto, rotondo come il centro del bersaglio, non lo

facciamo solo per contare le edizioni, ma per rendere grazie a ciò che è stato costruito: una

città che si riconosce in una corsa, in un drappo, in un passo che attraversa Piazza del

Popolo con lo stesso tremito di secoli fa.

La Quintana è una storia che va avanti anche senza chi la racconta. Ma chi la vive, anche

solo per un’estate, sa che non ne uscirà mai davvero.


Non siamo i più antichi, non siamo i più famosi. Ma siamo Ascoli. E questo basta.

Siamo i 1500 figuranti che diventano storia. I tamburi che rompono il silenzio della notte. Le

chiarine che annunciano la sfida. Il cavallo che si lancia nella giostra come fosse il primo

giorno.


Siamo il palio cucito da mani sapienti. L’elmo che luccica. Il giuramento del Console. Siamo i

panni stesi tra le vie del centro che sanno già di festa.

E siamo anche quelli che si infuriano quando qualcosa non va. Perché ci teniamo. Perché

questa giostra è una cosa seria. È un'eredità, non un'esibizione.

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E quest’eredità ha dei volti, dei nomi, delle mani.

C'è chi l'ha rifondata nel 1955 con spirito visionario: C'è Danilo Ciampini,

visionario e appassionato del primo corteo, che insegnò ad Ascoli come mettere in scena sé

stessa. C'è Alvaro Pespani, console per anni e anni del sestiere di Sant’Emidio, Emilio Nardinocchi console per altrettanti anni del sestiere di Porta Solestà. Plebani, Pontani, Nardinocchi, Morganti, Volponi…

E poi ci sono quelli che non compaiono nei libri, ma nei racconti. Quelli che cucivano, che

montavano le tribune, che suonavano con mani tremanti, che correvano per un sogno in

mezzo alla polvere. I Maestri di campo, i Cavalieri che hanno fatto la storia della Giostra.

E poi, in fondo, ci siamo noi. Quelli che portano avanti questo rito. Che ogni estate si

mettono in fila, si inchinano al passato e lo rinnovano.


La tradizione non è culto delle ceneri, ma custodia del fuoco.

E il nostro fuoco, da cento giostre, non si è mai spento.


100 Quintane sono passate. Eppure, ogni volta, quel primo passo dietro la porta carraia è

come la prima volta.

Perché la Quintana non si consuma. Matura. E ci matura.

Oggi è la festa.

Oggi si appartiene a qualcosa di più grande. Di più antico. Di più vero.

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E mentre il cavaliere si lancia alla conquista del Moro, noi ci lanciamo con lui. In ogni battito.

In ogni urlo. In ogni speranza.

Che cento siano solo l’inizio.

Che cento siano memoria.

Che cento siano promessa.

Perché cento non è la fine.


È solo la curva del Cassero prima del rettilineo. È una tappa, non il traguardo.

È la prova che ci siamo. Che ci saremo. Che continueremo.

Perché la Quintana non ti appartiene. Ma tu le appartieni.

E questo, davvero, è il privilegio più grande.

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