Luigi Lattanzi, alle spalle 52 anni di Quintana, sbandieratore, capo sbandieratore, responsabile di cavalcature e cavaliere, e, infine, caposestiere. Come li racconterebbe questi anni di giostra e vita quintanara?
Sono stati anni in cui la quintana mi ha regalato tante emozioni ed adrenalina a non finire...
Fui anche coordinatore degli sbandieratori di tutti i sestieri preparando i numeri al campo dall’89 al 94, poi sono diventato caposestiere e ho dovuto lasciare, ma comunque a quarantadue anni iniziava ad essere una fatica.
Il presupposto è uno: sono nato dentro quella casa dove c’è l’immagine sacra dopo il ponte romano di Porta Solestà, di proprietà dei miei nonni paterni, e mio nonno era calzolaio e custode del Ponte: aveva le chiavi per far entrare i turisti nel cunicolo dentro il Ponte Romano. Questa è la genesi del mio senso di appartenenza a quel Sestiere! Poi sono andato ad abitare in Via Verdi, sempre a Porta Solestà, e anche quando mi sono sposato, dissi a mia moglie che dovevamo vivere a Porta Solestà.
Fin da piccolo avevo il desiderio di sfilare guardando i miei amici più grandi; ho iniziato da quindicenne: valletto del palio nel 1968, dal 69 sbandieratore. Avevo questo grande desiderio perché al mare incontravamo Petrucci, primo caposestiere di Porta Solestà, e mio padre gli faceva sempre i complimenti perché era stato lui a portare ad Ascoli Marcello Formica. Ho provato sempre ammirazione verso quest’uomo, artigiano, il quale riuscì a farci vincere. Io ho un forte spirito di emulazione, e così sono diventato sbandieratore: il mio maestro era Francesco Capponi, detto ‘U camon’, e in quella squadra c’erano Sandro Rugantini, Pietro Petrelli, Gianni Clerici, Marco Fiori, io ero il più giovane con Luciano Biondi, molto contenti e gratificati di essere entrati nel gruppo.
Dopo qualche anno, a parte Petrelli, lasciarono tutti, e ci ritrovammo a dirigere il gruppo: lui era un bravo giocoliere e io un discreto organizzatore. Dopo ha lasciato anche lui e sono rimasto il responsabile per diverse generazioni di giovani, dando seguito alla mia passione (ci è capitato anche mio fratello Attilio che ha 16 anni meno di meno, e tutta la generazione dei vari Stefano Cappelli, Diego Sabatini, Peppe Celani, Nino Carboni, Nazzareno Mosca, Gianluca Croci, Luca Scoponi, Cesare Cappelli).
Ho portato questi e altri sbandieratori di tutti i sestieri ai campionati italiani: eravamo bravi lanciatori e dicevamo di essere i migliori, ma mentre i nostri predecessori si confrontavano con le altre città, grazie al maestro Danilo Ciampini, noi no. Per questo ottenni da Tonino Orlini, presidente all’epoca dell’Ente Quintana, di poter partecipare ai campionati con tutti i sestieri, ognuno presentando una diversa specialità. Naturalmente fu un insuccesso clamoroso, ma io lo sapevo: avevamo bandiere diverse e non seguivamo i criteri della Fisb, facemmo anche un bello scambio di bomba! Al di là del risultato tecnico ci fu un’apertura mentale di tutti i sestieri, capimmo che per primeggiare a livello nazionale dovevamo adeguare le nostre abitudini, salvaguardando le tradizioni della bandiera ascolana. Dall’89 si fece la prima gara degli sbandieratori interna, anche se già dall’88 a Porta Solestà realizzammo un primo torneo di bandiere.
Se dovesse concentrarsi sul suo ruolo di responsabile del cavaliere e delle cavalcature, come racconterebbe la sua evoluzione?
Nell’89 ero ancora sbandieratore e per il quindicesimo anno consecutivo non avevamo buoni risultati, per cui c’era un certo malumore: andavamo al campo ma di fatto non partecipavamo, quasi sempre alla prima o alla seconda tornata facevamo zero punti.
Gli sbandieratori del gruppo venivano a lamentarsi da me e da Patrizio Zunica, allora capo tamburino e attuale Console, poiché eravamo in consiglio e decidemmo di parlare in maniera incisiva di questa questione. Dopo Formica c’era stati i vari Lattanzi, Martino Gianni, Silvano Gamberi, Lionetti: non vincenti, con giostre inguardabili. Con la revisione degli incarichi io chiesi espressamente di diventare responsabile di giostra, anche con chi c’era prima, insieme a Gabriele Cinelli e a Traini, e sondammo alcune situazioni. Il primo che chiamai, avendo contatti con Foligno, fu Paolo Margasini, il quale aveva vinto lì le precedenti tre giostre su quattro e nell’ultima aveva mancato l’anello finale: notai un atteggiamento di rabbia e stizza, era determinato, con carattere, faceva molto bene l’otto…
Bisognava solo verificare se era in grado di reggere la botta del saraceno. Contattai anche altri cavalieri di Foligno, Betterini e Chicchini sicuro, ma alla fine il preferito era Paolo, poiché mi diede l’impressione di essere un garista, come poi ha dimostrato.
Andammo a parlarci e facemmo preparare un saraceno uguale a quello di giostra, pagammo 3 milioni e 600 mila lire, fu fatto dal fabbro Balena in via dei Soderini. Lo portammo a Foligno nella scuderia di Roberto Valentini e lì Paolo cominciò a battere, ancora e ancora: dopo diverse prove accettò l’offerta di gareggiare per noi.
Il primo anno non vinse, arrivò secondo dietro Vignoli e davanti a Ricci, corse a 23 anni su Veronica, cavalla esperta anglo araba: i figuranti lo portarono in trionfo perché per noi competere fino alla terza tornate equivalse ad una vittoria.
Il palio si fece aspettare un po', passarono tre anni e nel settembre del ‘92 Paolo acquistò Renè: andai a vedere la cavalla, io lui e il padre, un esemplare argentino abituato ad essere guidato ad una mano, come adorano folignati, a “mazzetta”, e il feeling fu immediato.
Già alla prova del giovedì prima della Quintana girò a 57.45, tempo ottimo per l’epoca, ma in gara fece 55.8 con tre centri, prova superba e ammazzò la Quintana. Nel ’94, per festeggiare il quarantennale, vinse entrambe le giostre, vinse ancora nel ’95, nel ‘96, a causa di un grande temporale che rese la pista inadatta al tipo di cavalcata di Renè, passista e non velocista, Paolo preferì non spingere più di tanto e vinse Vignoli con Flower Bud. Le vittorie poi continuarono ad arrivare, addirittura nel ’99 fece cappotto, ad Agosto il record con 1599 punti (disse, quasi non soddisfatto, “Per un punto non facevo 1600)”.
A proposito della giostra del 97, che cosa accadde?
Quando correvano i Folignati (accadde anche a Paci di Tufilla e Cruciani di Porta Romana) lo scudo era molto chiuso, mentre quando correvano gli ascolani era più aperto, ma si sentiva proprio, uno con un minimo di esperienza lo capisce. Non voglio essere in buona o in malafede ma si vedeva, era chiaro!
Parlando di cavalieri, vorremmo avere un focus su tutti i cavalieri vincenti della storia di Porta Solestà, a partire proprio da Marcello Formica.
Ho avuto la fortuna di fare due Quintane da figurante con Marcello Formica, poi ho avuto il piacere di conoscerlo. Nel ’75 ci disse se volevamo andare a sbandierare per il Pugilli, suo rione: fummo apostrofati dai Folignti in quanto ritenuti per la loro epoca (500-600) un falso storico, ma lui ci teneva, tanto era legato a Porta Solestà che ci volle lì, addirittura ospiti a casa sua. Rimanemmo in contatto, e quando chiamai Margasini, richiamai Marcello a Solestà come ospite del sestiere, poiché uno che ha vinto 8 palii non può essere dimenticato.
Per quanto riguarda Willer Giacomoni, non esordì benissimo, era un giovane cavaliere di Faenza, molto bravo: Paolo aveva 33-34 anni e voleva smettere, non si facevano piani a lungo termine allora, ma erano annuali. Nel 2001 ne fece una Paolo e una Willer che perse la lancia alla prima tornata, cosa inaspettata per un faentino. Vinse nel 2002 ma volendo partecipare alla giostra di Sulmona, che si corre una settimana prima di Ascoli, chiamammo Enrico Giusti ad agosto, per tutelare il sestiere e scongiurare il fatto di rimane senza cavaliere. La situazione era poco felice: con due cavalieri il sestiere rischia di spaccarsi e visti i risultati poco deludenti, nel 2004 tornammo a Foligno, su decisione di tutto il comitato, per seguire Luca, già adocchiato da un po' di tempo grazie ad alcuni amici che ho nella città umbra dove torno spesso per piacere (vetrina di cavalli incredibile tra l’altro dove scegliemmo di acquistare Dorilas).
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