Ciao Paolo e grazie per la disponibilità! Innanzitutto, volevamo chiederti com’è nato il tuo amore per i cavalli e successivamente per le giostre?
Beh, considerate che mio padre era cavaliere giostrante nella Quintana di Foligno, nel 1960 nell’edizione Olimpica della rievocazione umbra svoltasi al Circo Massimo di Roma e vinta da Marcello Formica in occasione della manifestazione a Cinque cerchi. Corse per ben diciassette anni per il Rione Ammanniti, mio nonno era vetturino, mio zio Otello Margasini forniva cavalcature per la Quintana… Sono quindi sempre stato in mezzo ai cavalli e il tutto è venuto abbastanza naturale.
Dopo aver vinto a Foligno nel 1988 sia la sfida che la rivincita, di nuovo la sfida nel 1989, esordisti ad Ascoli nel 1990 con un secondo posto, come arrivasti a giostrare ad Ascoli e precisamente a Porta Solestà?
Dopo le tre vittorie consecutive a Foligno, alla fine dell’edizione della rivincita del 1989 che non vinsi con il Croce Bianca, in attesa che ripartisse la sfilata Luigi Lattanzi mi fermò direttamente dentro al “Campo de li Giochi” e da lì cominciò tutto.
Tu e Marcello Formica, entrambi di Foligno, siete stati due simboli di Porta Solestà, cosa puoi dirci di lui?
Lui competeva con mio padre, per farvi capire chi era posso dirvi una cosa: da noi a Foligno nei vicoli non giocavamo a pallone ma si faceva la Quintanella in bicicletta e tutti litigavamo perché volevamo essere Marcello. Nel mio periodo a Porta Solestà venne alcune volte a vedere la giostra e la cosa mi fece molto piacere.
Cosa ricordi di quella Quintana del 1993 in cui riportasti alla vittoria il sestiere di Porta Solestà dopo un’attesa di 18 anni? Ti rendesti conto a livello emotivo dell’impresa che avevi fatto?
Quella è stata la vittoria più bella, anche perché avevo abbandonato la scuderia di Valentini prendendo questo cavallo argentino del quale tutti dicevano che, come tipologia, non poteva “andare”, fu una scommessa. Averci vinto fu una soddisfazione doppia, era un cavallo sicuramente non come i purosangue di oggi ma sulla pista di allora aveva un modo di girare che gli permetteva di ottenere tempi che gli altri non erano in grado di replicare. Solo nel 1996, anno in cui piovve tanto prima della giostra, a causa del diluvio con la pista indurita bisognava rallentare nelle curve e non riuscii a vincere, solo un grande Vignoli con Flower Bud mi batté visto che Renè non aveva lo spunto per ripartire, ma in condizioni di pista asciutta era imbattibile.
Mentre altri cavalieri hanno legato il loro destino a più cavalcature, tu, sia a Foligno che ad Ascoli pur vincendo anche con altri cavalli, sei rimasto legato a Ca’ Granda e Renè, in entrambi i casi i più vittoriosi nella storia delle due Quintane. Cosa puoi dirci di Renè? Come lo hai “scoperto”, e che cavallo era?
Ai tempi i purosangue argentini arrivavano dal Sudamerica a centinaia stipati nelle navi, alcuni erano malnutriti e tanti nemmeno sopravvivevano visto che non c’erano box separati. Mio padre vide questo cavallo da un importatore, Silvio Pelliccia che rivendeva i cavalli in zona visto che gli argentini sono molto adatti alle passeggiate, si portano bene ad una mano e sbrigliati. Fisicamente era superiore alla media tanto da sembrare un mezzosangue, lo provammo sull’otto di Foligno e capimmo che era bravissimo a girare, di conseguenza lo prendemmo subito pur avendo un’incognita sulla velocità. Il resto è storia.
Cosa ricordi della prima edizione in notturna del 1997 visti i problemi che ci furono per te, Lorenzo Paci e gli altri Folignati?
Ma voi volete rigirare il coltello nella piaga! (ride, n.d.r.). Facciamo finta che sia una serata mai esistita, un brutto sogno da non ricordare.
Riguardo alla domanda precedente, vedendoti in ambiti più “normali” ci sei sempre sembrato una persona tranquilla e compassata, mentre sul campo diventavi un “animale da gara”, ci spieghi questa tua metamorfosi?
Che vi dico? Io sono sempre un tipo molto calmo, sarà la pressione bassa (ride di nuovo, n.d.r.) che poi magari in gara saliva grazie alla tensione, ma sono sempre stato uno da tempi alti in prova, senza dare mai il massimo, proprio per una questione di carattere: non mi andava di rischiare nei giorni in cui non contava nulla, preferivo farlo nella competizione. In quel giorno famoso di cui parlate sbroccai perché venne messa a repentaglio anche la salute a livello fisico.
Cosa ti ha portato a rimanere legato tuttora, per 31 anni, e così a lungo al sestiere di Porta Solestà anche dopo aver smesso come cavaliere? E ti senti definitivamente ormai un Solestante?
Fondamentalmente l’amicizia che ho con tante persone all’interno del Sestiere: Gino e Attilio Lattanzi, ma anche molte altre come Marcucci, Cappelli, Mancini che vengono ogni anno a vedere la Quintana di Foligno. Sento spesso anche il veterinario Andrea Virgulti, c’è ormai un legame che va al di la della Giostra. Se mi sento un Solestante? Beh, penso ormai di sì, anche perché ad Ascoli è impossibile immaginarsi in un altro Sestiere: è un posto particolare ed una città molto calda.
Una curiosità: Supponendo sia scritto che Porta Solestà non possa vincere, e tu debba decidere chi conquisterà il Palio, a chi andrebbe la tua scelta?
Per una ragione affettiva sarei molto contento vincesse Mattia Zannori, a Foligno lavoriamo molto insieme ed è un ragazzo che si impegna tantissimo, con delle doti tecniche che sono perfette per Ascoli ma ogni anno gli accade qualcosa… Spero che prima o poi riesca a sbloccarsi.
Qual è il tuo rapporto con luca Innocenzi?
Luca lo conosco da quando era bambino, poi da quando è divenuto il cavaliere di Porta Solestà abbiamo un rapporto per il quale siamo ormai come fratelli o per meglio dire quasi padre e figlio: ognuno conosce i difetti dell’altro e ci diciamo tutto in faccia.
Puoi darci un giudizio sulla Quintana attuale e quella dei tuoi tempi? La differenza come pista è evidente, ma secondo te è cambiato anche l’assalto al moro?
La differenza è sostanziale: è cambiato tutto, dalla pista al moro, è un'altra giostra, se meglio o peggio non ve lo so dire. Probabilmente meglio visto che grazie al teflon posto dietro al bersaglio non c’è più quella sorta di buco in cui noi infilavamo la lancia che poi non usciva più.
Nel 2006 quando sostituii Luca Innocenzi ci misi un po’ ad abituarmi all’impatto differente. C’è anche da dire che grazie alla nuova pista le velocità sono aumentate di moltissimo e quindi la “botta” rimane dura.
Questa è una domanda che facciamo a tutti i cavalieri, ma ci terremmo tanto a conoscere il tuo parere: quali sono le peculiarità e le difficoltà della Quintana di Ascoli?
La difficoltà maggiore per me era ovviamente il Saraceno: quasi dappertutto siamo abituati agli anelli, quindi all’impatto c’è chi è più predisposto e chi meno. Senza far nomi ci sono stati cavalieri plurivittoriosi in Italia che non si sono mai voluti misurare con Ascoli perché non volevano rischiare di farsi male.
Rispetto ad altre giostre c’è un percorso un po’ più corto, e per fortuna, perché altrimenti non oso immaginare lo scontro col moro se si raggiungessero velocità più alte. Proprio per questo però va trovato un cavallo adatto, che sia veloce ma bravo a girare su queste curve strette,
Cosa può imparare Foligno da Ascoli ed Ascoli da Foligno, non solo a livello di giostra ma globalmente?
Credo che, ora come ora, nonostante sia nata qualche anno dopo, Ascoli sia andata molto avanti come organizzazione e secondo me al riguardo del mancato svolgimento delle due Quintane dello scorso anno la vostra città ha avuto un gran carattere dicendo da subito che le due giostre non si sarebbero fatte, questo traccheggiare è snervante per gli allenamenti, mi sono sono piaciuti. Le più grandi differenze le trovo però nella giostra e nelle persone: a Foligno è vissuta più come una gara sportiva, ad Ascoli la cosa è più “sentita”: i commenti, le critiche… Le persone sono molto più focose, ti fermano per strada chiedendoti il perché di un errore.
Tra le tue nove vittorie ad Ascoli, escludendo quella del 1993 quale definiresti la più bella?
Se devo escludere quella direi l’ultima nell’ Agosto 2000 in cui dimostrai, a differenza di quello che dicevano in tanti, di poter essere in grado di vincere con un cavallo diverso da Renè, conquistai il palio con My Gems smentendo tutti.
C’è invece un episodio particolare, slegato dalle vittorie che ricordi particolarmente?
È difficile slegare il tutto dalle vittorie, quindi vi dico quando nell’Agosto del 1999 vinsi facendo nove centri: si correva con lance da 5kg, e ne mancavo sempre uno, ma in quell’anno feci quello che allora era il record di punteggio in una lotta bellissima fino all’ultimo punto con Lorenzo Paci. A tal proposito, voglio raccontarvi che quando fui contattato da Luigi Lattanzi per la prima volta mi venne detto: “Con sette centri vinci la Quintana”. Io nell’anno del debutto ne feci otto ma non bastò: c’era Gianni Vignoli che ormai ne faceva sempre nove!
Hai parlato di Lorenzo Paci: secondo noi è stato il più forte cavaliere a non aver mai vinto la Quintana di Ascoli, secondo te cosa gli è mancato?
Forse solo la fortuna: nella Quintana di cui parlavamo poc’anzi in cui lui fece quella grandissima giostra io ne feci una ancora migliore. Lorenzo gareggia ancora ed è per me nella top ten dei migliori cavalieri su piazza, purtroppo molte volte la Quintana è anche questione di dea bendata: una tavoletta, un ottanta… Lorenzo insieme a Gianni Vignoli è sempre stato il cavaliere che temevo di più.
Hai parlato di ottanta al tabellone e di penalità, che comunque consentono di rimanere in gioco sino all’ultimo a differenza di Foligno dove al primo errore si è fuori dalla lotta per la vittoria. Cosa ne pensi di questo aspetto?
Forse è fare di necessità virtù: a Foligno essendo in dieci rioni se si rimanesse tutti in gara la giostra non finirebbe più e quindi credo la cosa non cambierà mai. È Però una caratteristica a cui molti cavalieri faticano ad abituarsi, pensate che lo stesso Gianfranco Ricci, dominatore di tutte le giostre d’Italia, quando venne a Foligno impiegò alcuni anni prima di vincere, nonostante avesse i cavalli più veloci e montasse i purosangue (cosa che all’epoca non faceva nessuno) perché magari colpiva una bandierina o mancava un anello.
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