Ciao Gigi, puoi raccontarci com’è nato il tuo amore per la Quintana?
Eh, chi si ricorda (ride n.d.r.), avevo nove anni! È un amore nato quasi per caso, alle elementari frequentavo la stessa scuola di Dario Ciampini, figlio di Danilo, uno dei padri della Quintana. Ai tempi abitavo in via Cesare Battisti che topologicamente si trovava nei confini di Sant’Emidio ma la sede di Porta Romana si trovava in Via della fortezza, e le due vie erano vicinissime.
All’epoca, al contrario di ora, la manifestazione si viveva solo nei due mesi precedenti e mi venne chiesto se volessi vestirmi per fare da paggetto a suo padre insieme a lui. Accettai di buon grado, ci sono entrato e non ne sono mai più uscito: altri anni da paggetto e poi sbandieratore, non ancora quattordicenne partecipai ad una trasferta internazionale della Quintana in Svizzera, successivamente mi appassionai ai cavalli e divenni responsabile di scuderia, infine caposestiere. È insomma un lunghissimo amore, considerate che ora ho sessantacinque anni, fate i vostri conti (ride di nuovo n.d.r).
Come ti trovi nel nuovo ruolo da rettore che attualmente ricopri?
Sinceramente per me è cambiato poco: quelle riunioni che in precedenza facevo da una parte del tavolo ora le faccio dalla parte opposta. Rimane però intatta la collaborazione e la stima reciproca con tutti: si ragiona, si parla e si trova sempre il modo per risolvere le eventuali problematiche, il tutto per fare il bene della Quintana di Ascoli.
Qual è stato Il tuo ruolo nella scoperta di Emanuele Capriotti?
Il ruolo fondamentale fu quello di Massimo Montefiori, che in quegli anni veniva ad allenare Giovanni Clerici, il quale nella Quintana di Agosto del 2000 fu cavaliere giostrante di Porta Romana. Vide Emanuele in prova e mi disse: “Guarda che quel ragazzo vale, ha della stoffa”. Massimo diede dei consigli ad Emanuele, e ad ogni suo ritorno ad Ascoli vide che questi venivano messi a frutto: decidemmo così di fargli assaggiare il campo in una delle giornate di prova allo Squarcia. Ricordo ancora che Atlanda non era in formissima, e quindi non poteva nemmeno dare il massimo, ma capimmo che il ragazzo era valido, aveva del talento e tanta voglia: da lì nacque la nostra serie di meritate vittorie.
Com'è stato lavorare con Massimo Montefiori, con il quale tra l’altro sei legato da un bellissimo rapporto?
Hehe (ride ancora, n.d.r), sono stato il sabato appena passato al matrimonio di suo figlio a Faenza! Diciamo che si tratta di un rapporto che nacque normalmente, ma che si cementò quando nel 1982 Husta si azzoppò: io fui partecipe della situazione accompagnando il cavallo al mattatoio ed insieme condividemmo questa spiacevole situazione. Successivamente nacque anche un legame tra mia moglie e la moglie di Massimo, io diventai compare di suo figlio e lui compare di mia figlia, che tra l’altro sono nati a pochi mesi di distanza nello stesso anno, figuratevi che quando ero responsabile delle cavalcature passavo quasi tutti i miei fine settimana a Faenza… In parole povere è un’amicizia profondissima, ed è così che io vedo la Quintana, ossia un qualcosa che crea aggregazione ed amicizie, è grazie a questo che abbiamo resistito nei tanti anni senza vittorie: eravamo un gruppo di amici che “ci credeva”, andando avanti a testa bassa nonostante tutto. È questo lo spirito Quintanaro, non quello di apparire per mostrarsi magari in prima fila durante il corteo.
È bellissimo sentire queste parole, denotano un grandissimo amore per la Quintana…
Voglio raccontarvi un altro particolare, io mi sposai nel 1982 e a mia moglie dissi due cose: la prima è che durante i giorni lavorativi non avrei portato la fede (visto che nel campo dell’edilizia avevo visto molte persone farcisi male), e la seconda e più importante che le ferie si sarebbero fatte solo dopo la Quintana, fu una sorta di patto prematrimoniale.
Perché un caposestiere dovrebbe lasciare da vincente, dopo aver visto Lorenzo Melosso vincere nel 2019 alla sua seconda Quintana?
Beh, ero caposestiere da ventitré anni, e la decisione la avevo presa in precedenza in tutta serenità e tranquillità: la vittoria di Lorenzo fu la ciliegina sulla torta. Ma ogni tanto va data una svolta: ero quasi diventato come un console la cui carica dura a vita, e poi con il nuovo regolamento elettorale anche avessi fatto un nuovo mandato avrei comunque dovuto passare la mano. Inoltre con l’avanzare dell’età gli impegni diventano sempre più gravosi e fare il caposestiere, se si vuole farlo “in un certo modo” non è facile: ci sono tantissime responsabilità.
Qual è stato il rimpianto Quintanaro più grande?
Sinceramente non ne ho avuti. Pure quando si perdeva spesso non ce n'erano, si partiva sempre per cercare di essere competitivi anche se poi magari non ci si riusciva: ho sempre vissuto il tutto con uno spirito che ci permettesse di guardare avanti e di essere positivi, senza piangere sul latte versato perché altrimenti non si migliora mai.
E invece qual è stata la più grande gioia Quintanara?
Beh, non è facile scegliere tra Emanuele Capriotti vincente all’esordio e Picchioni e Melosso vincenti nell’anno del debutto (entrambi vinsero infatti ad Agosto n.d.r.). Forse l’ultima è quella che si ricorda meglio, ma la vittoria di Capriotti nel 2003 quando non si vinceva da 15 anni fu una gioia immensa.
Visto che hai seguito in scuderia cavalieri per tanti anni, qual è stato secondo te il Cavallo migliore che hai visto allo Squarcia?
A livello affettivo posso dirvi Blu Tresor di Massimo Montefiori e Atlanda di Emanuele Capriotti, che per lui era come una figlia: a prescindere dagli impegni andava sempre a salutarla prima di andare a dormire visto che aveva i cavalli vicino casa. Si spense non appena lui partì per Foligno dato che doveva giostrare, spirò quando si accorse che lui non c’era. Potreste pensare che queste siano baggianate ma non è così: c’era una simbiosi tra lui e il cavallo che era fuori dal normale.
Per quanto concerne i tempi più recenti invece, e guardando il tutto con un occhio più neutro posso dirvi che i cavalli che nel corso degli anni sono stati portati da Luca Innocenzi allo Squarcia sono tutti validi e competitivi, così come Nata’s Jam di Lorenzo Melosso o Trentino di Massimo Gubbini.
Purtroppo non si può fare un discorso generale relativo anche agli anni passati perché ogni tipo di pista che si è succeduta nel corso del tempo aveva bisogno della sua tipologia di cavallo, una volta il percorso era quasi su breccia e i cavalli una volta terminata la Quintana non potevi muoverli per quattro giorni visti i risentimenti muscolari. Adesso è il tempo dei purosangue che sono veloci e maneggevoli, perfetti per questo tipo di terreno, e a differenza di un ippodromo che ha forma ovale e dove quindi si “gira” o solo a destra o solo a sinistra, il bello della Quintana è il suo percorso “ad otto”, e quindi bisogna avere un cavallo intelligente capace di saper girare da ambo le parti. Alcuni possano credere sia una cosa semplice eppure non è così.
Nel 2003 Porta Romana firmò un record probabilmente irripetibile nella storia della Quintana, ossia un cappotto con due cavalieri e due cavalli diversi, ovvero Capriotti su Atlanda a Luglio e Scattolini su Runa ad Agosto. Quali sono i tuoi ricordi di quell’impresa?
Fu qualcosa di bellissimo anche se poi ci trovammo in una situazione particolare: non era facile scegliere con chi proseguire tra i due cavalieri, ma fummo lungimiranti e decidemmo nel modo migliore puntando su un Ascolano giovane, venendo ampiamente ripagati. Ma voglio sottolineare che non ero un “mago”, si trattava di un equipe che lavorava, ragionava e decideva tutti insieme.
Eri uno sbandieratore, e durante il tuo mandato Porta Romana è uscita dal digiuno a livello di musici e sbandieratori arrivando a vincere anche un campionato nazionale, qual è stato il segreto di quegli anni?
Essenzialmente un gruppo di giovani che “ci credevano”, dediti e appassionati a quel mondo. In molti vi potranno confermare che questi ragazzi hanno “scoperto l’esistenza del mare” solo lo scorso anno quando tutte le attività a livello di musici e sbandieratori sono state ferme.
È sempre la Passione a farti vincere, se non c’è quella non si va da nessuna parte. Io cercavo di non lasciarli soli, andando a vederli provare quando era possibile e dispensando elogi e/o rimproveri quando serviva, cercavo di essere una sorta di padre di famiglia.
Qual è il tuo sogno da sestierante di Porta Romana?
A parte le vittorie, che sono il coronamento di un lavoro frutto unicamente della Passione, direi quello di vedere il Sestiere sempre pieno di gente, vivo e festoso con persone che abbiano voglia di aggregarsi.
Cosa significa la Quintana per Pierluigi Torquati?
La Quintana è parte di me, sono molto legato alla mia città: avevo quattordici o quindici anni quando andavo a lavorare fuori e non sopportavo che le persone non sapessero nemmeno dove si trovava Ascoli e che fosse conosciuta solo per Costantino Rozzi. Essere un Quintanaro è un orgoglio per un Ascolano, così come il far andare avanti la manifestazione in modo che sia conosciuta ed apprezzata ovunque.
E cosa significa Porta Romana per Pierluigi Torquati?
Porta Romana è un pezzo della mia vita, viene lei dopo la famiglia, e mia moglie vi potrà confermare che spesso la ho messa anche davanti: mi ricordo che quando i bambini erano piccoli andavamo al mare con la roulotte a Tortoreto, una volta piazzata prendevo e me ne tornavo ad Ascoli per la Quintana riapparendo poi per dormire, è un rimprovero che ancora mi fa spesso.
Hai un augurio per la Quintana di domenica?
Spero che domenica tutto fili liscio sia durante il corteo che al campo: tutti noi Quintanari ci siamo comportati in maniera eccellente durante la Giostra di Luglio, rispettando tutte le regole e rendendo la Quintana un fiore all’occhiello per tutte le altre manifestazioni Italiane, e alla fine che vinca il migliore.
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