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Immagine del redattoreSaraceno

Intervista a Mario Giacomoni

  • Ciao Mario, ci eravamo già sentiti lo scorso anno promettendoci un’intervista, ma poi tutto saltò a causa degli annullamenti delle varie Giostre, quali sono le tue sensazioni al riguardo?

In effetti è stato un anno di grande tristezza da questo punto di vista, però noi in questi giorni a Faenza ci stiamo preparando per il Niballo e voi farete altre due giostre, sarà una bella ripartenza!

  • Raccontaci come è nato il tuo amore per i cavalli e per le giostre…

Io fui un’intuizione del grande Walter Padovani, storico caporione del “Rosso” di Faenza venuto a mancare qualche giorno fa, che può essere definito il creatore, tra gli altri, anche di Gianfranco Ricci e Gianni Vignoli.

Io ero il giovane allievo di Gianfranco, un ragazzino di 13 anni figlio di un’operaia e di un barbiere, che aveva messo piede per la prima volta in scuderia per caso, grazie al Palio cittadino.

  • Come arrivasti alla Quintana di Ascoli e alla Piazzarola?

Molto semplicemente, nel maggio del 1971 avevo già vinto la mia prima corsa all’anello da debuttante a 16 anni a Narni, Gianfranco mi portava sempre con lui e il suo gruppo: arrivò ad Ascoli nel 1971, infilando quattro vittorie consecutive, ed io ero il suo allievo a Sant’Emidio con lui, una sorta di cavaliere di riserva. Mi ha insegnato a dare le prime “botte”, e poi altri suggerimenti me li diede Marcello Formica che ai tempi era in ottimi rapporti con Franco.

Nel 1972 Angelo De Angelis smise di giostrare e alla Piazzarola si ritrovarono senza cavaliere, per cui chiesero a Sant’Emidio la possibilità di avere “in prestito” il loro cavaliere giovane e io mi ritrovai a debuttare: sarei poi dovuto tornare a Sant’Emidio, ma a causa di alcuni dissidi tra Franco e il Rione Rosso, tutta la mia carriera ascolana si svolse alla Piazzarola.

Riguardo al mio esordio vorrei però sfatare un falso mito moderno se mi è possibile…

  • Prego Mario, dicci pure!

Sento spesso ripetere che Nicholas Lionetti è l’unico minorenne ad aver corso la Quintana, ma non è così.

Quando nel 1972 partecipai alla mia prima Quintana non avevo nemmeno la patente, ero diciassettenne, e sarei divenuto maggiorenne a settembre.


Mario Giacomoni vincitore della Quintana di Ascoli 1977 in sella a Selmonson
  • Hai citato Marcello Formica: com’era confrontarsi con mostri sacri come lui e Franco?

C’era solo da imparare! Mi ritrovai diciassettenne a disputare la Quintana con cavalieri del calibro di Gianfranco, Marcello, Emilio Mordente (che pur non avendola mai vinta era uno dei migliori cavalieri in circolazione all’epoca) e Paolo Giusti.

Mi fecero imparare il mestiere, vincevano o Franco o Marcello ed io arrivavo secondo, se vinceva uno l’altro arrivava terzo e viceversa, ma nel 1977 riuscii a vincere la Quintana anche io, e un paio me le han “fregate” subito dopo, nel 1978 e nel 1979.

  • Cosa ricordi di quella vittoria?

Fu una vittoria bellissima e me la sono goduta davvero tanto. Fui anche trattato benissimo economicamente dal Sestiere della Piazzarola, ma purtroppo ho un brutto carattere: specialmente in quel periodo, in cui partecipavo a diverse giostre e palii, da dipendente comunale che ero mi trovavo a correre da maggio a settembre ben 12-13 competizioni, quindi dal giorno dopo, purtroppo, nonostante la gioia ero già concentrato sull’obiettivo successivo.

  • A proposito di quella Quintana, sfatiamo un altro falso mito: tutti gli albi d’oro Ascolani riportano che vincesti con Urso, ma in realtà era Selmonson, giusto?

Esatto, che è il cavallo con cui vinsi sei Palii del Niballo a Faenza. Io con Urso vinsi a Foligno e ad Ascoli ci vinse Gianni Vignoli nel 1983, ma nel 1977 cavalcavo Selmonson. Tra l’altro su alcuni albi d’oro risulta “Ursus” quando invece il nome con cui fu battezzato era “Urso”.

Io a queste cose ci tengo tanto e sono molto preciso: pensate che a Ferrara, dove vinsi due volte di seguito con Sirena De Oristano, risultava che nel primo anno vinsi con Selmonson solo perché avevo annunciato in precedenza alla contrada che sarei venuto con quel cavallo, cosa che poi non accadde: mi ci son voluti anni a far correggere quell’errore.

  • Prima hai citato il 1978 e il 1979, cosa accadde?

Nel 1978 arriviamo a fine Quintana con un mio colpo sbattuto sul centro che viene giudicato “30” (all’epoca i bersagli erano quadrati e i punteggi erano 50-40-30-20-10), io arrivo e dico “Ma voi siete scemi?”.

Avevano preso come punto di impatto quello della strisciata esterna, giudicandolo al rovescio in pratica, tanto che i miei Sestieranti a fine giostra andarono a ritrovare quel cartellone e tenendolo sollevato in mezzo al corteo ci fecero tutta la sfilata di ritorno sino alla Piazzarola. Mi hanno sempre raccontato di aver fatto ricorso, anche se negli anni venni a scoprire che non era vero. In pratica, io persi quella quintana per 20 punti, ma se il punteggio fosse stato assegnato correttamente saremmo andati a una tornata di spareggio io e Gianfranco.

  • Invece nel 1979?

Nel 1979 invece mi ruppi definitivamente le scatole, perché ero stufo di prendere delle “panacche” nel polso per persone che non ritenevo mi stessero difendendo come meritavo, anche perché io ci mettevo tutto il mio impegno.

Mi ritrovai a competere con Pierpaolo Placci, mio concittadino, che stava andando molto molto bene. Lui montava Pantera ed io Selmonson: Pantera era una cavalla molto difficile, riottosa in partenza. Lui era di poco in vantaggio su di me come punteggio (come poi finì, rimase in vantaggio), però io avevo già effettuato l’ultima tornata, mentre lui, se non avessero dato delle belle nerbate nel sedere della cavalla, sarebbe ancora fermo al cassero

Infatti, l’anno successivo venne introdotta una regola per la quale ci sarebbe stata la tornata nulla se non si fosse partiti entro due minuti, ma nel 1979 in merito c’erano solo degli accordi verbali tra i vari Sestieri, aggiungiamoci che Porta Maggiore non aveva mai vinto la giostra, per cui furono ben felici di vederlo partire, ma si stava facendo notte…

Chiariamoci: Placci vinse una giostra regolarissima dal punto di vista sportivo e con pieno merito, ma se non fosse stato aiutato a partire con le buone o con le cattive avrei vinto io. A quel punto dissi: “Ragazzi, mi son rotto i coglioni (testuale), non ci vengo più”.

In realtà tornai un’ultima volta nel 1982 perché il mio allievo, Gianni Vignoli, si ruppe il bacino e così lo venni a sostituire, ma fu la mia ultima apparizione ad Ascoli.

  • Tu hai corso anche il Palio di Siena, puoi raccontarci quell’esperienza e quali sono le sensazioni che si provano a partecipare a quella manifestazione leggendaria?

Lo ho corso due volte, agosto 1980 e il palio straordinario dello stesso anno, entrambe per la Chiocciola: il mio soprannome era “Il Faenza”. Avrei dovuto correre anche nel 1981, ma poi accaddero delle cose che non sto qui a raccontarvi, da “professionisti Senesi”, feci delle altre prove per la Chiocciola ma fu messo a cavallo il leggendario “Aceto” e di Palii non ne corsi più.

Mario Giacomoni su Ascaro nell'Agosto del 1980, in testa alla curva di San Martino per la Chiocciola

Fu un’esperienza bellissima, anche perché il Palio di Siena e le corse a pelo in generale sono la mia vera passione, difatti sono ancora oggi il fantino col maggior numero di vittorie (ben sei), al Palio di Ferrara: il record resiste dal 1985 e credo che me lo porterò nella tomba!


Ferrara, 1983: Mario Giacomoni portato in trionfo dai contradaioli di Borgo San Giorgio
  • Beh, con 9 vittorie sei anche terzo nella classifica dei vincitori del Niballo, appena dietro a Gianfranco Ricci e tuo figlio Willer.

Quelli di mio figlio li considero anche miei, visto che li ho vinti dietro di lui: in famiglia ne abbiamo vinti 19 a Faenza, non pochi (ride).

  • Come giudichi invece, sia nel passato che ad oggi, la nostra Giostra?

È un po’ che non vengo ad Ascoli, l’ultima volta che ci sono stato la pista era una via di mezzo tra quella attuale e quella dei miei tempi: ho l’impressione che rispetto al passato sia stata accorciata e arrotondata.

È diventato un percorso molto, molto tecnico: non è una Giostra da smargiassi, ci vogliono delle buone mani.

  • Per quanto riguarda l’impatto con il moro?

Si colpisce in maniera diversa: una volta erano veramente “botte”, adesso, complice la maggiore preparazione e specializzazione dei cavalieri, sono “botte” solo se sbagli il colpo. Se lo tiri bene, il moro non è piu “spaccapolsi” e violento come una volta, ai tempi se sbagliavi ti rompevi… Rimane comunque il bersaglio più duro di quelli che conosco io in giro per l’Italia: quello di Arezzo ha una molla, ad Ascoli è su cerniera, sei tu a doverlo spingere per farlo ruotare. Se l’impatto o l’angolo con cui colpisci sono errati ti fai male sul serio.

C’è anche da dire che quei tre, quattro professionisti che vivono di quintane si allenano specificatamente tutto l’anno. Nella mia epoca eravamo più “artisti” che professionisti, davamo due, tre botte a casa e poi ci allenavamo ad Ascoli nei giorni precedenti alla giostra. Pensa che gareggiavamo la prima domenica di settembre ad Arezzo e la seconda a Foligno, immaginatevi la differenza…

  • Hai seguito le prove cronometrate? Se sì, puoi darci un giudizio?

Le ho viste, e posso dirvi che ci sono tre cavalieri su cui non si discute, gli altri sono andati “così così” e in uno mi è sembrato addirittura di vedere del timore.

  • Tra le altre cose, la nostra pagina cerca di riportare alla luce reperti video storici, tempo fa pubblicammo un video dal titolo “Quando Faenza dominava ad Ascoli”, erano infatti ben 5 su 6 i cavalieri Faentini presenti nella nostra Giostra. A cosa credi sia dovuto il “calo” della vostra scuola?

Ve lo dico molto semplicemente: all’epoca molti cavalieri venivano direttamente dai rioni, che oggi invece sono un po’ chiusi in sé stessi. Nel periodo a cui fate riferimento a Faenza, oltre ai Rioni che portavano avanti i loro cavalieri c’erano anche dei privati, come Ricci, com’erano Placci, Montefiori, Vignoli in un secondo tempo quando montava i cavalli di Minardi, sovvenzionati da appassionati. Finiti quegli appassionati, finiti quei cavalli, fai fatica a mantenere una scuderia per andare a fare delle giostre dove, come dicevamo prima, la tecnica è migliorata moltissimo e in cui come cavalcature sono richieste qualità e quantità a cui non sei in grado di sopperire.

Ad Ascoli si pretendono giustamente quattro cavalli per ogni cavaliere, ma a Faenza chi se li può permettere?

  • Perché a Foligno invece è diverso?

Beh, innanzitutto ci sono ben 10 rioni. Inoltre, ci sono veri professionisti con cavalli di proprietà: prendete Innocenzi. Ha 10-12 cavalli da Quintana, quelli che per conformazione del tracciato non sono buoni per Foligno sono buoni per Ascoli, quelli che non sono buoni né per Foligno né per Ascoli sono buoni per altre giostre in giro per l’Italia, quando la situazione è questa è ovvio che cominci a dominare, ma fino a qualche anno fa a Sulmona, Valfabbrica o Narni ti vinceva anche un Massimo Conficconi o un Marco Diafaldi, entrambi Faentini.

Qui da noi invece quando hai cinque, sei cavalli almeno quattro li devi tenere per Palio e Bigorda, alla fine non è una questione di scuola, i cavalieri Faentini buoni ci sono ancora, ma se non hai soldi da investire non compri cavalli buoni, se non hai cavalli buoni non riesci a “farti” i cavalieri.

  • Torniamo ad Ascoli, prima della vittoria di Lorenzo Melosso, che ha eguagliato suo padre Franco, tu e Willer eravate gli unici padre e figlio ad aver vinto la Quintana, cosa ricordi di quel 2002?

Li sì che mi sono emozionato! Fu una Quintana che a causa del rinvio per la pioggia durò ben una settimana, me la sono goduta tantissimo.

Inoltre quando vince mio figlio è sempre una gioia immensa, considerate che ho praticamente smesso di giostrare per stare dietro a lui…


Mario e Willer Giacomoni in sella a Selmonson dopo la vittoria del Niballo 1981
  • Mario, grazie per la immensa disponibilità, un’ultima domanda secca prima di lasciarci: chi vince la Quintana di Luglio?

Innocenzi, a meno che Massimo Gubbini non faccia una giostra delle sue.









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