Il 13, 14 e 15 settembre si disputeranno i campionati italiani di A1 a Faenza. In vista di questo evento abbiamo intervistato Maurizio Sardi, rappresentante degli alfieri NeroVerdi.
Qual è il tuo primo ricordo quintanaro?
Sfortunatamente è stata la sconfitta di Conficconi nel ’97: era il mio secondo anno di Quintana e già sono partito male! Da lì poi è nato il fuoco per poter dare il massimo per il mio Sestiere…per quello che si può ovviamente, perché l’otto appartiene a cavallo e cavaliere.
Come è nata la passione per la Quintana e per le bandiere?
Ero piccolo e andavo sempre a vedere la giostra, rimanendo profondamente emozionato da chiarine e tamburi… Vedere gli sbandieratori però mi affascinava. E’ partita la scintilla, andavo alle gare in piazza e mio zio, Alvaro Rossi, mi ha fatto fisicamente entrare. Poi c’è stato Sergio Pompili che mi ha dato il mio primo vestito e il mio primo anno sono stato il porta insegne dei tamburi nel '96. Vincenzo Gagliardi mi ha insegnato l’arte della bandiera e Giorgio De Angelis è stato il caposbandieratore di una vita.
Nella storia della bandiere ascolane hai potuto scrivere il tuo nome assieme a quello di Francesco, avendo vinto sei volte la coppia. Cosa si prova nello sbandierare con un fratello, ma soprattutto con un gemello?
A livello emotivo è come fare il singolo in due. Già i fratelli si capiscono e sono affiatati, ma due gemelli hanno quella sintonia fisica e mentale che ti trasporta in qualcosa di particolare. Molte volte non ci dicevamo nulla, bastava uno sguardo per capirsi. L’emozione era amplificata, dovevo badare all’animo di mio fratello e lui al mio. È molto affascinante… La massima espressione dei gemelli è nella coppia, in quell'arte io ho trovato la massima sincronia con mio fratello.
Ti è dispiaciuto smettere di competere in questa specialità?
A livello di coppia abbiamo dato tutto. Avrei continuato con un’altra persona ma è giusto che l’abbiano fatta altri e mio fratello era il mio partner ideale. Si arriva ad un punto in cui il percorso si esaurisce e noi abbiamo raggiunto l’apice per poi smettere com’è giusto che sia.
Tu curi la scuola sbandieratori del Sestiere, cosa credi sia importante nell'educazione dei ragazzi?
Anzitutto educare a livello di gruppo e socializzazione: il Sestiere è una comunità con tante famiglie e bambini che devono divertirsi. Poi c’è l’educazione Quintanara, il capire perché sventolano le bandiere, il senso di appartenenza ai propri colori e al proprio stemma. Dopo c’è l’educazione all’arte della bandiera poiché noi siamo responsabili di animare la storia di questa città e di continuare queste tradizioni. È come se fossero figli da educare in tutto…
Quando ho iniziato non c’erano under né istruttori, non facevamo le gare, non c’era una scuola. I bambini devono imparare la tecnica, ma i maestri devono essere bravi a far capire cos'è e cosa rappresenta l’essere uno sbandieratore. Ai miei allievi insegno i movimenti che hanno fatto la storia della Quintana, non hanno valore ai fini del regolamento federale ma sono importanti, creano la passione. Poi c’è e ci deve essere la gara sempre vissuta in un certo modo: nascere con l’idea di competere crea un sistema sbagliato. Il vestito va portato sempre in un certo modo, bisogna emozionare ed emozionarsi.
In ambito Quintanaro con "Sestieri all'erta", le scuole hanno la possibilità di esibirsi e competere solo con la Passione Quintanara senza punteggi e senza vincitori. I bambini devono prima appassionarsi, crescere con Ascoli per capire il valore della Quintana e la giusta competizione a livello di Giostra
Poi, con i campionati giovanili della Federazione Italiana Sbandieratori, invece, a cui tutte le scuole partecipano da qualche anno, hanno la possibilità di crescere, conoscere tanta gente e appassionarsi per questa realtà delle bandiere, con un sano confronto con gli altri gruppi d'Italia, si coglie l'occasione per mettersi in gioco, per migliorarsi sempre di più a livello tecnico e di Bandiera.
A te è stato sempre riconosciuto un grande senso di appartenenza, cosa pensi a tal proposito dei cambi di colori?
I cambi di casacca di oggi non sono quelli di allora. Oggi sono legati alle bandiere e credo sia sbagliato: non riuscirei mai ad immaginare me stesso con altri colori. Certamente ci sono delle situazioni a se stanti, ma si nasce, cresce ed appassiona in un solo sestiere.
Cosa significa per te essere di Porta Maggiore?
Porta Maggiore fa parte di me. Non ho vinto in tanti anni ma l’orgoglio e la forza di fare sempre meglio e non mollare mai forse è più grande di chi festeggia di più. Accumulare dolori, sofferenze e sacrifici rende l'animo dei NeroVerdi molto resiliente.
La tua più grande soddisfazione e il più grande rammarico?
Vedere un sestiere gremito, cene con più di 750 persone, tutti sognatori uniti è una gioia…Soprattutto essendo arrivati finalmente a competere. Di rammarichi da NeroVerde ne ho avuti tanti, in generale il non essere ancora mai riuscito a vincere un Palio, sia Quintanaro che degli sbandieratori.
Tornando a parlare di bandiere, c'è qualcuno, a livello italiano, al quale ti sei ispirato per crescere e migliorare?
Ho sempre guardato i gemelli Miola della Città Murata, mi hanno dato un’emozione che non ho ritrovato in altri.
E invece nella tua storia agonistica da sbandieratore ascolano, chi sono stati i tuoi "nemici"?
A livello ascolano si scherzava spesso con Diego Bernardini e Manuel Ranalli di Porta Solestà: dovevano smettere ma alla fine erano sempre lì.
Quali sono le aspettative per questa Tenzone Aurea?
Prima di tutto fare una bella gara, poi spero che i gruppi di Ascoli si distinguano: a livello nazionale siamo tutti fratelli, oltre le rivalità interne.
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