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"Faenza ormai povera di talento" Intervista doppia sulla crisi Faentina a Mario e Willer Giacomoni

Lo "sbarco" del pluricampione Luca Innocenzi a Faenza per il Borgo Durbecco ha destato un certo scalpore: siamo infatti passati da un periodo in cui la scuola Faentina riusciva a proiettarsi e ad imporsi al di fuori delle proprie mura (pensiamo solo alla Quintana di Ascoli negli anni '80 dove 5 cavalieri su 6 erano Manfredi), all'attualità in cui il Niballo ha necessità di "importare" cavalieri.

Nella settimana del Palio per parlare di questo argomento abbiamo deciso di fare una sorta di intervista doppia con due mostri sacri della manifestazione: Mario e Willer Giacomoni, affermatisi ben 19 volte nella manifestazione manfreda, tutte per il Rione Rosso.


  • Ciao Mario e ciao Willer, grazie per la disponibilità! La scuola faentina, dopo un passato glorioso in cui riusciva ad imporsi stabilmente in tutte le giostre d’Italia, sembra aver perso il proprio smalto, quali sono i motivi?

    • Mario: A parte il materiale umano di quella determinata generazione, molto dipendeva dal fatto che eravamo in possesso di scuderie: questo ci consentiva di avere a disposizione degli appassionati che cercavano di tirar su dei ragazzi, in particolare al Rosso con il compianto Walter Padovani, ma anche tutti gli altri Rioni hanno fatto il loro producendo talenti come Placci, Montefiori, i fratelli Capiani e tanti altri. Purtroppo negli anni tutto questo è andato perso a causa di svariate motivazioni come spese sempre più ingenti, cambi generazionali, il guardare solo al proprio orticello e una classe dirigente che non è stata colta: ora ci ritroviamo a non avere a disposizione 10 cavalieri per le nostre due manifestazioni. Spezzo una lancia a favore del mio Rione: il Rosso anche nei momenti più bui ha sempre cercato di privilegiare la scuola del Rione, con grandi risultati in alcuni casi e meno buoni in altri.

    • Willer: Sicuramente gran parte del merito era dovuto alle scuderie rionali che permettevano, con un buon allenamento, di proiettarsi anche al di fuori della realtà Faentina, la svolta la diede però il mio maestro Gianfranco Ricci quando venne individuato da Walter Padovani: fino ad allora ci si allenava e si andava a cavallo solo il sabato e la domenica. Da qui ci fu una sorta di reazione a catena per la quale anche tutti gli altri cavalieri Faentini cominciarono a “prepararsi” allo stesso modo, e successivamente si andò anche a correre a Narni e in molte altre giostre. Io stesso, che per l’epoca potevo essere definito un semiprofessionista, ero avvantaggiato dal fatto di potermi allenare tutti i giorni. Successivamente c’è stato un netto calo della nostra scuola, anche dovuto alla questione del “vincolo” presente nella nostra giostra. C’è anche da dire che abbiamo vissuto un momento storico nel quale a Faenza erano presenti molte scuderie gestite da privati: quando questi ultimi hanno avuto meno risorse economiche a disposizione si è rotto il giocattolo, tutta la crescita del movimento si è bloccata e si sono persi quasi 15 anni. Ora i Faentini pensano “Ma tanto a noi basta fare la nostra giostra”, però poi non ci si può indignare se si arriva a dover chiamare dei cavalieri forestieri, ognuno crea da solo il proprio presente.


Mario insieme al piccolo Willer in sella al leggendario Selmonson

  • Ci sono alcuni cavalieri che si “mantengono” grazie alle giostre e fanno unicamente questo di mestiere: la questione economica è una delle motivazioni che può aver influito nella discesa della vostra scuola?

    • Mario: A Faenza l’unico cavaliere semiprofessionista è forse Nicholas Lionetti. Per tutti gli altri si parla di persone che nella vita fanno un lavoro normale e per i quali i cavalli sono un hobby. Sicuramente questo non aiuta ma il problema principale, sarà brutto da dirsi ma è la verità, è che al momento Faenza è un ambiente ormai povero di talento: a parte Tabanelli, Diafaldi e Lionetti non ci sono altri cavalieri su cui punterei al di fuori delle nostre mura, anche per capacità logistiche.

    • Willer: Ai miei tempi ero un semiprofessionista, e “andavo forte”, affidandomi alla scuderia rionale anche per andare a correre fuori: poi sono arrivati i professionisti veri. Questi ultimi si allenano tutti i giorni facendo solo quello, invece di 3 cavalli ne hanno a disposizione quasi 20: quando sono andato a scontrarmi contro di loro prendevo 6 decimi al giro e bene che mi fosse andata ero secondo. Però c’è anche un'altra questione, ossia i sacrifici da fare nella vita: io per riuscire a farcela ho sempre rinunciato a tutto, e se non hai quantomeno un lavoro che ti permetta di passare almeno mezza giornata in scuderia non puoi confrontarti con coloro che lo fanno di mestiere. Ai miei tempi, quando andavo a Foligno, Servigliano, Ascoli, Pistoia, sapevo di dover dare il meglio di me perché ero conscio di dovermi confrontare con persone che erano specializzate in quel “gioco”, che ci si allenavano tutti i giorni, che mettevano il cuore oltre l’ostacolo, ma che se andavano al di fuori della loro “comfort zone” facevano brutte figure: paradossalmente adesso è Faenza ad essersi involuta e a trovarsi in questa situazione, ci siamo chiusi in noi stessi, specializzati nella nostra giostra e basta. Secondo alcuni io quest’anno avrei dovuto concorrere con un cavaliere che non si sta allenando per problemi lavorativi, solo perché Faentino, ma non è così che funziona: io devo puntare a vincere. <<Abbiamo questo, facciamo la guerra con queste armi>> dicono, io invece penso che <<Se non ho un soldato buono vado a prendere il “mercenario” migliore che c’è.>>


  • Potreste fare per i lettori non informati della nostra pagina, un excursus storico sulla questione del vincolo vigente a Faenza? E pensate che questa limitazione possa aver inciso o concorso alla situazione attuale?

    • Mario: Il vincolo nacque negli anni ’70 quando Gianfranco Ricci decise di abbandonare il Rosso: si perse un anno ma si rivinse subito con un giovanotto, che ero io! A quel punto Walter Padovani maturò l’idea di porre delle limitazioni in modo che un cavaliere cresciuto con risorse e fatica da un rione non facesse le fortune di un altro e quindi dal 1976 un cavaliere divenne legato a vita. Ciò, seppur portando dapprima della qualità, sentendosi i giostratori legati ai propri rioni e alle scuderie, ha successivamente condotto ad una situazione per la quale la catena era troppo corta, con i rioni che sentivano di avere sempre il coltello dalla parte del manico, ritrovandoci con cavalieri fuori dai giochi: mio figlio Willer, Marco Diafaldi e Gioele Bartolucci solo per fare alcuni esempi. Un arma a doppio taglio, diventata controproducente: si pensi solo al fatto che magari si fanno esordire cavalieri provenienti dalla Bigorda dopo un paio di anni di appannamento del cavaliere titolare: quest’ultimo non ne vorrà sapere più nulla del Rione. Due anni fa il comune di Faenza che sovrintende il Palio, ha cercato di modificare la situazione, dando però un colpo al cerchio e uno alla botte: dal 2023 il vincolo decade ma solo dietro un corrispettivo economico quantificato in base ai palii corsi in precedenza. E’ assurdo perchè il vincolo dovrebbe essere di cuore, e non “normato” a livello legislativo, altrimenti non ha senso.

    • Willer: Secondo me le cose sono strettamente legate: a causa di questo vincolo negli ultimi anni ci siamo trovati nella situazione per la quale cavalieri come Adriano e Alfiero Capiani (solo per fare un esempio) una volta usciti da un rione o non sono più riusciti a partecipare o ci hanno messo anni per tornare a farlo. Lo svincolo fatto in questo modo è una farsa, oltre al corrispettivo economico da pagare verranno resi “prigionieri” anche i Bigordini, vincolando quindi anche ragazzi di 18 o 19 anni, peraltro con un “anno sabbatico” anche nel caso due rioni fossero d’accordo. Se un cavaliere dovesse aver corso solo una gara, lo svincolo è relativamente piccolo, 1000 Euro a giostra: il problema è che tutto ciò vale pure per entrare in Piazza D’armi, anche solo da palafreniere. Ed io che ho fatto 18 Niballi, anche se da palafreniere dovrei sborsare meno (500 euro per ogni competizione disputata), non posso neppure accompagnare a piedi il mio cavaliere o i cavalli che alleno tutti i giorni, perché per farlo dovrei pagare 9000 euro!


  • Il fatto che il “Bruno Neri” non sia un campo dei giochi dedicato esclusivamente alla Quintana, ma per molti mesi dell’anno ad appannaggio del Faenza Calcio è un qualcosa di limitante?

    • Mario: In questo periodo è allo studio una “Cittadella del palio”, ma è una visione avveniristica che prevede degli investimenti tali per i quali probabilmente sarò morto prima di vedere la posa della prima pietra! (ride, ndr) Purtroppo Faenza ha dei problemi organizzativi, una città di 62.000 abitanti dove se va bene i Rioni hanno 500 soci ognuno, abbiamo anche a che fare con dei settori culturali che non vedono di buon occhio il Palio, per continuare a fare la nostra manifestazione bisogna arrangiarci nel miglior modo possibile…

    • Willer: Concordo pienamente: siamo rimasti praticamente gli unici a non avere un campo dedicato esclusivamente alla gara, ed il poterlo utilizzare per un solo mese all’anno comporta moltissime limitazioni, in particolar modo da quando c’è anche la Bigorda. Poter provare i cavalli in diversi mesi dell’anno potrebbe permettere di tirare fuori da loro il 100% il giorno della giostra. Anche qui siamo rimasti enormemente indietro a livello tecnico, si continua giocare su un campo da calcio con delle buche che vengono ricoperte con la sabbia. È stata recentemente proposta l’idea di un “paliodromo” esclusivamente dedicato al Niballo: sarebbe fantastico, anche e soprattutto per la salvaguardia degli animali. Purtroppo ci sarebbe il problema di come raggiungerlo con la sfilata: vedo quindi molti muri e credo che continueremo a gareggiare al Bruno Neri, con tutte le problematiche annesse e connesse.


  • Cosa significa per Faenza e per la scuola Faentina l’arrivo al Niballo di un plurivincitore in tutta Italia come Luca Innocenzi?

    • Mario: dirò un’opinione forte: se proprio doveva venire un forestiero a Faenza, almeno i nostri ragazzi si confronteranno col migliore in assoluto di questo periodo storico, e se riescono a batterlo saranno anche più soddisfatti. Mio figlio Willer, per dare una mano al suo amico Fabio Massimo è diventato responsabile delle scuderie del Borgo: è andato lì per cercare di riportare la vittoria che manca da tanti anni, e vista l’indisponibilità di Manuel Timoncini ha semplicemente pensato di chiamare il migliore su piazza. A mia opinione personale Luca a livello Quintanaro NON SI DISCUTE, come Ricci ai suoi tempi, fa letteralmente paura. Anche dal punto di vista della monta, ci dà dentro spingendo “di pancia” meglio della maggior parte dei Faentini, non ha problemi di braccia con una lancia di oltre 4 kg, e si circonda dei migliori professionisti. Detto questo, come ho sempre affermato, a Faenza il cavallo conta per il 70 per cento: ci vuole una cavalcatura con una resilienza assoluta (specialmente nelle quattro tornate di sinistra) abbinata alle doti tecniche classiche di tutti gli altri cavalli sportivi.

    • Willer: Portare in questo momento a Faenza un cavaliere come lui, che è al top e al massimo della forma, mi rende orgoglioso. Arriverà in un rione ottimale visto che troverà come cavalcatura anche “Silver Wash” che ha già corso al Niballo e che lui conosce bene, tra l’altro Luca è anche migliorato come monta, non che ne avesse bisogno, ma per il Niballo serve una tecnica diversa: ora cavalca più da seduto e con la spinta giusta essendosi allenato anche a pelo con fantini senesi e avendo partecipato vincendo a Sulmona e Valfabbrica. È una persona che ha sempre voglia di confrontarsi con nuove sfide, è come se gli avessi visto negli occhi il desiderio di venire a Faenza. Penso in conclusione che per tutti i cavalieri manfredi sarà da sprono e darà motivazioni ancora più grandi.


Luca Innocenzi durante le prove al "Bruno Neri"

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