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'Appartenza non apparire', il motto di Mariangela Gasparrini



Oggi le nostre interviste ci hanno portato a conoscere la prima (e finora) unica donna caposestiere della Quintana di Ascoli Piceno. Ecco a voi le parole di Mariangela Gasparrini…


  • Come si è appassionata alla Quintana e come è nata la sua storia quintanara?

Considerando la famiglia alla quale mi sono legata tanti e tanti anni fa, la famiglia Rirì, il momento di avvicinamento è stato allora, parliamo di poco meno di quarant’anni fa quando ho conosciuto Walter e il mitico Rirì, mio suocero. Ovviamente la passione è nata per Sant’Emidio, ma il richiamo delle chiarine e la bellezza delle dame hanno sempre suscitato in me una grande passione fin da bambina.


  • Quali sono le difficoltà e le sensazioni provate nell’essere la prima donna caposestiere della storia della Quintana?

Niente di particolare sinceramente, è stato per me un onore che il mio sestiere mi abbia appoggiata e scelta. Forse le difficoltà in un mondo maschile ci sono state alle prime riunioni, circa 7 anni fa, anche se ero già in comitato dal 2005. Non mi sono sentita diversa dagli altri, mi sono solo resa conto che per ricoprire questo ruolo non potevo andare impreparata alle riunioni di comitato, altrimenti non avrei potuto avere un ruolo in questo ambiente. La mia prima e principale attività da caposestiere è stata quella di studiarmi tutti i regolamenti, quindi partecipare alle riunioni con consapevolezza.


  • Sempre riguardo alla partecipazione delle donne alla manifestazione, cosa pensa delle polemiche?

Io credo che all’interno della Quintana chiunque possa ricoprire dei ruoli, a chiunque dovrebbe essere data la possibilità di partecipare, di essere re o regina per un giorno o qualsiasi posto si voglia, non vedo nulla di particolarmente negativo nella partecipazione delle donne.


  • Come mai, dato che per alcuni la Quintana sia una corsa all’apparire, lei sceglie di non vestirsi per la sfilata?

Questa è la mia battaglia. Il mio motto, scritto anche all’interno della nostra segreteria, è “appartenenza e non apparire”, si sfila quando ci appartiene, non può essere una cosa solo per farsi vedere. Io ho scelto di non sfilare in questi anni per dare un esempio: il ruolo da caposestiere come figura femminile non esiste in corteo, ma io lo posso esercitare comunque tutto l’anno in tante altre mansioni come il lavoro, il coordinamento, il sestiere aperto tutto l’anno…parliamoci chiaro: il sestiere e la Quintana vivono perché ci sono i volontari, uomini e donne di buona volontà che appartengono e in molti casi non sfilano.


  • Il sestiere di Sant’Emidio, così come lo vediamo ora, con una sede funzionante al 100% e un gruppo sbandieratori e musici molto attivo ad esempio, ha dovuto superare dissapori e divisioni. Come ci siete riusciti?

È stato un grande lavoro. Venivamo da 15 anni di commissariamento, non avevamo nulla dentro il sestiere ma non soltanto a livello materiale, mancavano proprio i ragazzi, e ad oggi mancano delle generazioni proprio per le difficoltà che il sestiere ha vissuto, ferite che sembravano insanabili. Con la buona volontà siamo riusciti a ripartire, credetemi, veramente da zero, senza costumi, con una sede disastrata e cene propiziatorie con meno di 200 persone sono diventate feste con più di 500 partecipanti. I ragazzi hanno fatto un lavoro straordinario: siamo iscritti in Fisb solo dal 2015 però questa iscrizione ci ha aiutato a riportare al sestiere tante famiglie e tanti ragazzi.


  • Passiamo ora alla giostra appena disputata. Come giudica la prestazione di Riccardo Raponi e quali sono le speranze per il futuro?

Noi abbiamo fatto un progetto nel 2017 con la scuderia Lady che ci ha aiutato e supportato nell’inserimento di un giovane, al quale è stato dato e stiamo dando tempo per crescere. Lo abbiamo visto, nonostante la difficoltà nella cavalcatura poiché il cavallo non è stato bene, molto migliorato nell’assalto al moro, colpisce bene, non manca i centri, in prova è andato meglio che in giostra ma ci sono state delle difficoltà. Quello che io auspico, a prescindere dalla scadenza del mandato, è che chi verrà dopo di me non faccia come in passato: cambiare cavaliere ogni anno o addirittura da luglio ad agosto. In un progetto bisogna crederci e lavorare, un cavaliere può dare il meglio di sé nel momento in cui riesce a prepararsi, ci mette cattiveria e impegno e si trova un buon binomio.


  • Vorremmo chiederle infine come si sviluppò l’epilogo della vicenda con Jacopo Rossi, cavaliere che nel 2013 sfiorò la vittoria di un palio che, ad oggi, manca da vent’anni.

Io voglio ammettere una cosa: ero caposestiere, appena nominato, non avevo ancora competenza ed esperienza per gestire la giostra, l’ho dovuto imparare. Se quegli episodi fossero accaduti adesso sarebbe stata un’altra storia.

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