Abbiamo oggi intervistato Lucio Cacace: storico Priore del Rione Pugilli, conoscitore ed amico di tre leggende Folignati che hanno segnato la storia della Quintana di Ascoli Piceno e del Sestiere di Porta Solestà
Buongiorno Lucio, puoi presentarti ai nostri lettori parlandoci un pò di te e della tua storia Quintanara a Foligno?
Sono stato Priore del Rione Pugilli dal 1979 al 2002, un periodo abbastanza lungo, anche se non sono stato il Priore più longevo della Storia del Rione. Ho però all’attivo il maggior numero di vittorie nella storia della Quintana di Foligno, ben 9, fondando anche la prima scuderia rionale dopo aver acquistato settemila metri quadri di terreno, poco prima del Contrastanga.
Ho avuto la fortuna e l’onore di avere come cavalieri Marcello Formica, Emanuele Filippucci che ha vinto il suo unico palio in carriera proprio con me, Paolo Margasini, nel momento in cui gareggiava sia ad Ascoli Piceno che a Foligno, ed infine Luca Innocenzi, facendolo debuttare proprio nella nostra Quintana, presentandolo poi a Porta Solestà: avevo dei contatti molto stretti con Luigi Lattanzi, avendoci collaborato per molti anni, e essendo legato da profonda amicizia che risale addirittura al 1975, io ero tamburino e lui sbandieratore.
Raccontaci di una leggenda come Marcello Formica, che visto il passare del tempo, per molti qui ad Ascoli è ormai solo un nome nell’albo d’oro.
Come uomo era una persona di una correttezza ed un’onestà unica. Non ho mai conosciuto una persona con la sua voglia di giostrare senza aver MAI percepito alcun compenso. Era un uomo schietto e sincero: da lui sapevi sempre la verità.
Instancabile: maestro di sci, faceva arrampicate, correva con moto ed auto.
E come cavaliere?
Come cavaliere… Che dire? Ricordo che nel 1975 lui a Foligno non giostrava più da due anni, io non ero ancora Priore ma braccio destro dell’allora caporione Ernesto Tardioli, e capeggiai un’equipe che si recò ad Ascoli Piceno per chiedergli di tornare a gareggiare con il nostro Rione. Inizialmente disse che se avesse dovuto togliere il posto ad un giovane avrebbe rinunciato e questa cosa mi rimase impressa profondamente, lo guardai con estremo stupore.
Successivamente accadde che il cavaliere di allora, Claudio Rosi, ebbe un infortunio e a venti giorni dalla giostra lui accettò di “correre” per il Pugilli: al nostro grande entusiasmo faceva da contraltare l’opinione di alcuni secondo il quale fosse ormai anziano. Purtroppo in quell'occasione mancò il primo anello ed arrivammo nelle ultime posizioni.
Lo riconfermammo però alla grande e l’anno successivo vinse.
Quando io diventai Priore iniziammo con la doppia giostra e nel 1980 mi regalò il primo palio nella veste di CapoRione (che fu anche il suo ultimo) stravincendo una Giostra strepitosa in sella a Ringo davanti a Fabio Cruciani.
Qualche altro episodio particolare?
Accadde proprio nella successiva giostra della rivincita e può farvi capire la sua grandezza. Nella seconda tornata fece un tempo (per l’epoca) incredibile di 59.07, eravamo in testa e quindi saremmo partiti per ultimi, gli dissi “Marcello, vai con calma, prendiamo questi tre anelli e abbiamo fatto doppietta”. Lui mi rispose: “Lucio la scorsa Quintana l’ho vinta per voi, questa Quintana la voglio vincere per me, adesso tu mi leghi bene il mantello perché mò vola”.
Io insistetti nel dirgli che avevamo un secondo abbondante di vantaggio sugli avversari, ma non ci fu nulla da fare, voleva abbattere il muro dei 59 secondi, così io gli nascosi gli speroni in modo da farlo spingere meno in quanto era uso a toglierseli tra una tornata e l’altra.
Non trovandoli, Gianfranco Ricci ormai fuori dai giochi si offrì di prestargli i suoi, alla vista di quelle due “spade” che era solito indossare Franco dissi: “Per carità, per carità, eccoli, te li avevo nascosti io”, e lui mi disse “Lo sapevo!”.
Ci facemmo una risata, ma purtroppo alla dirittura d’arrivo delle gradinate anziché richiamare il cavallo continuò a spingere: lì capii che se avesse girato avrebbe spaccato tutti i cronometri, altrimenti si sarebbe spaccato lui. Difatti andò a sbattere, addirittura di testa contro il palco delle dame rimanendo con metà corpo sulla struttura e con l'altra metà sul campo dei giochi, rimase incosciente per ore in ospedale.
Alle 22 della sera si riprese, ma era completamente fasciato, appena aperti gli occhi mi chiese: “Quando tocca a me? E che tempo ha fatto Fabio (Cruciani ndr)?” gli risposi “À Marcè, stai sdraiato su un letto d’ospedale e Fabio ha vinto”.
Li finì la sua carriera da cavaliere, anche se nel 1981, quando ormai moglie e figli gli avevano vietato per ovvi motivi di cavalcare, veniva a montare di nascosto il cavallo in scuderia celando gli stivali a casa di un amico. In una di queste “scorribande” venne investito in motorino da una 127 finendo in ospedale. I suoi familiari capirono cosa facesse, e io mi presi una marea di improperi.
Ma purtroppo lui era così e non ci si poteva far nulla, questo gli costò anche la vita: sempre in motorino venne investito nei pressi di Colfiorito.
Prima hai nominato Gianfranco Ricci: tra loro ci sono state battaglie leggendarie sia ad Ascoli che a Foligno. Com’era il loro rapporto?
C’era rivalità ma anche un grande rispetto: vi dirò di più, molte volte Franco quando veniva a Foligno è stato ospite a casa di Marcello, e anche io ero presente.
Erano molto amici, anche se in campo erano rivali, ma la loro nobiltà d’animo fu di esempio per tutti.
Parliamo adesso di Paolo Margasini
Paolo correva già ad Ascoli da due anni ed era cavaliere del Croce Bianca a Foligno quando arrivò al Pugilli.
Per usare un eufemismo, diciamo che il Croce Bianca non era felicissimo del fatto che lui partecipasse alla giostra Ascolana, e quando passò al Pugilli ricevetti immediatamente una chiamata da Luigi Lattanzi che mi chiese, vista l’amicizia leale e sincera, quali fossero le nostre sensazioni al riguardo.
Gli risposi che Paolo avrebbe dovuto fare tutte le Giostre possibili ed immaginabili, ritenevo fosse sciocco tenere un cavaliere con quelle qualità “sul comodino” a fare una sola giostra: ho sempre sostenuto che più giostre si fanno più esperienza si acquisisce, riducendo anche l’emotività rispetto a chi gareggia in un solo evento. Addirittura, quando si è potuto, le scuderie del Rione Pugilli hanno fornito cavalli come riserve a supporto di Paolo Margasini.
Com’è Paolo a livello emotivo e qual è il vostro rapporto umano?
Paolo per me è come un fratello, abbiamo vissuto dieci anni insieme: con lui in 9 anni ho vinto 7 volte, tanto avevo il sorriso stampato in faccia che a Foligno scherzosamente mi chiedevano se avessi una paresi.
Abbiamo condiviso hobby come riprese video e servizi fotografici.
Paolo è un “freddo” ma solo apparentemente e vi spiego perché: lui ha dei momenti di emotività impressionanti, ricordo che una volta poco prima di partire per il campo dei giochi sentivo dei conati di vomito provenienti dalla taverna, chiedendo chi fosse mi dissero che era Paolo… Era lì con un braccio bloccato e nausea, ma tutto spariva non appena saliva a cavallo. Non sentiva più nulla, e mi diceva sempre che si accorgeva del pubblico solo quando sentiva il boato per aver mancato un anello, lì finiva “l’incantesimo”, anzi i fischi e le offese di chi era stufo di vederlo vincere non facevano altro che caricarlo.
Tanta era la stima reciproca che quando, come Rione, non avevamo più un cavallo all’altezza gli permettemmo tranquillamente di andare al Rione Contrastanga per fargli eguagliare il record di vittorie di Marcello Formica e Paolo Giusti.
Arriviamo infine a Luca Innocenzi...
Facemmo esordire Luca a Foligno proprio quando Paolo lasciò i Pugilli, fece due giostre egregie, e ancora una volta, parlando con Luigi Lattanzi gli dissi “Ma perché non lo porti ad Ascoli?”. Lui lo venne a vedere e rimase entusiasta. Debbo dire che inizialmente non fu accolto nel migliore dei modi: per chi non lo conosce potrebbe sembrare una persona dal carattere schivo, ma chi gli sta vicino sa che ha un cuore estremamente grande, e se può aiutare qualcuno lo fa sempre, compresi gli altri cavalieri in gara, anche se vi può sembrare assurdo.
Nei suoi primi anni ad Ascoli ebbe qualche difficoltà, pensi fosse qualcosa legato all’emotività o c’era anche qualcosa a livello tecnico?
A livello tecnico è sempre stato preparatissimo, ricordo ancora la prima volta che venne ad Ascoli per provare: era una freddissima mattinata di novembre, c’eravamo io, lui e Paolo Margasini, di nascosto dal padre, perché non era d’accordo sul fatto che lui corresse ad Ascoli visto l’ambiente particolarmente caldo, ma chi lo conosce sa che se con lui ci si comporta bene riceverà altrettanto.
Non credo proprio però di essermi sbagliato nell’averlo proposto: visto che Marcello così come Ricci ha vinto otto Quintane, Margasini nove e Luca ben tredici.
Volevamo infine chiederti, da conoscitore di entrambe le giostre, cosa ne pensi della nostra Quintana intesa come competizione.
Come vi dicevo conosco la Quintana dal 1975 e quindi credo di averne viste tante. Vi posso dire che da allora ad oggi il salto qualitativo è stato abissale ed impressionante. È una giostra che merita tantissimo e che richiede una tecnica particolare che non tutti riescono a padroneggiare e a cui sanno adattarsi: cavalieri che a Foligno hanno fatto bene non sono riusciti a ripetersi ad Ascoli e viceversa.
Forse la controparte Folignate è un poco più selettiva in quanto al minimo errore come una bandierina si è immediatamente fuori e per vincere bisogna arrivare alla fine “immacolati”, quella di Ascoli d’altro canto, “perdonando” qualcosa in più permette di essere in corsa fino all’ultimo rendendola molto avvincente.
Vengo sempre molto volentieri perché, oltre ad avere tanti amici, c’è sempre un bellissimo clima e la Giostra è un grandissimo spettacolo che mi emoziona sempre, non posso che farvi i complimenti.
Qualche parola su Lorenzo Melosso, vincitore dell’ultimo palio?
Mi è piaciuto moltissimo, ha grandissime qualità e farà benissimo. Per esserne convintissimo di come lo sono su Innocenzi e Gubbini voglio vederlo in futuro con cavalcature diverse, perché il binomio fa tantissimo a livello di monta, ma fossi stato ancora un Priore lo avrei voluto con me al 100 per cento.
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