Ciao Massimo! Puoi spiegarci com’è nata la tua passione per i cavalli e successivamente per le Giostre?
Da piccolo andavo a vedere insieme ai miei nonni dei tornei e manifestazioni a cui partecipava mio zio che si svolgevano nei paesini.
Da lì mi sono appassionato al cavallo, successivamente mi sono iscritto ad una scuola di equitazione, iniziando con il salto ad ostacoli, facendo anche molti concorsi ippici. Quando avevo già un bel bagaglio di esperienza fui contattato dal Rione Pugilli per aiutare Paolo Margasini a “muovere” i cavalli, facendo così le mie prime esperienze con i purosangue.
Quali sono a parer tuo le caratteristiche uniche e peculiari della Quintana di Ascoli?
È una Quintana che ti obbliga ad avere molta precisione e che, a livello di conduzione del cavallo, richiede una cavalcatura che sia molto “agli ordini”… Credo che siano queste due le caratteristiche principali.
Prendiamo le tavolette a terra: queste rispetto ad altre Giostre, dove magari ci sono le bandierine belle alte, sono molto meno visibili da parte del cavaliere, specialmente se si parla degli arti posteriori. Se il cavallo ne tocca una sono talmente tanto in basso che nemmeno te ne rendi conto. Inoltre sono su tutto il percorso, distanziate da soli 60 cm, mentre a Foligno ad esempio se uno zoccolo va fuori tra una bandierina e l’altra non accade nulla.
Anche “la botta” con il saraceno richiede sia una preparazione fisica che tecnica per saperlo colpire: l’anello magari sono tutti portati a prenderlo con dell’allenamento che comunque non richiede un impatto. La botta è forte e difficile da gestire specialmente quando negli anni passati i cartelloni rimanevano infilati nella lancia, mentre ora sono più spessi e non accade più.
Nella Quintana di Ascoli sei riuscito a vincere con tanti cavalli diversi, tanto da detenere il record: Runa, Evee, Skipping Dancing, Bell Exhibition, West Grove, e se non fosse stato per un regolamento in alcuni casi sin troppo particolareggiato, avresti vinto anche lo scorso anno con “Trentino”. Quali sono secondo te le qualità che un cavallo deve avere per essere competitivo nella Quintana di Ascoli e qual è il segreto, sempre che ce ne sia uno, nel riuscire ad adattarsi ogni volta così bene?
Diciamo che il cavaliere deve sempre sapersi adattare al cavallo: più riesci a capire la tipologia di cavalcatura che hai a disposizione e più riesci ad interpretarlo, e lui ti darà successo.
È come il rapporto con una persona, più riesci a comprenderla e a coinvolgerla più riesci ad entrarci in simbiosi ed hai risultati, idem con il cavallo, che si tratti di allenamento, condizione, alimentazione, una miriade di aspetti.
Il giorno della gara è solo il culmine degli sforzi fatti e della preparazione che c’è dietro. Va rispettato e preparato al meglio: se lo fai, sicuramente in quel giorno fatidico ti darà di più.
Per me la questione prioritaria però è che l’animale non va mai sottovalutato: cerco di dargli la massima fiducia, come in ognuno di noi, anche in ognuno di loro c’è qualcosa di buono e questo è un pensiero che mi ha aiutato a lavorare anche su cavalli che avevano qualche difetto, senza scartarli a priori, credendoci e trattandoli sempre da campioni, allenandoli e rispettandoli quotidianamente.
Credo sia questo che mi abbia portato a vincere con tante cavalcature!
Non mi piace tanto lodarmi, ma credo sia una dote innata che mi permette di adattarmi a più cavalli, anche se il credere in loro, lo ripeto, credo sia un fattore fondamentale, insieme al riuscire a comprendere il tipo di addestramento e di lavoro che va fatto su ognuno di essi.
Com’è cominciata la tua storia ad Ascoli?
C’era un bel rapporto con Franco Melosso al Rione Spada qui a Foligno, dove lui era coinvolto nella scuderia. Lo conobbi e mi convinse a ritentare a giostrare ad Ascoli: in precedenza infatti avevo fatto delle prove che non erano andate a buon fine con Porta Maggiore e Porta Solestà.
In alcuni casi, nonostante il livello ad Ascoli si sia alzato incredibilmente, per alcuni sei stato tu ad aver perso qualche Quintana di troppo, credi sia così?
Prendiamo l'anno passato… Credo che una Giostra come quella dello scorso anno con Trentino all’esordio sia difficilmente ripetibile, e nonostante il risultato, è stata molto soddisfacente.
Sono molto soddisfatto della Quintana che ha fatto e mi ha dato degli ottimi input per lavorare.
Vi dico la verità: io quando sono li penso a tutto tranne che a perdere, e se faccio un errore questo avviene solo perché inevitabile. Sicuramente esperienza ed allenamento contano moltissimo, credo di essermi impegnato sempre tanto e di essere entrato dentro al campo sempre competitivo: forse a volte avrei potuto fare di più, ma l’incappare negli errori, lo ripeto, è accaduto sempre e solo perché sono stati inevitabili.
Prendiamo ad esempio gli 80: magari da fuori non ce ne si rende conto, ma basta un piccolo movimento del cavallo o una sua insicurezza nella traiettoria, non è che si prende l’80 perché non ci si è allenati, ci vogliono linee perfette e bisogna sapere guidare il cavallo in una maniera molto “fine” in modo da non squilibrare l’assetto per poi andare in mira con un certo equilibrio ed una certa fermezza.
E poi c’è la curva molto stretta! A Foligno con la statua del Dio Marte sul lato opposto, oltre alla traiettoria più facile che consente di allargarsi, in uscita c’è la possibilità di muoversi sulla sella per prendere l’anello; ad Ascoli se vai a dare quella botta stando fuori sella cadi all’indietro. Non puoi “buttarti fuori dal cavallo” o dall’assetto che devi tenere rimanendo saldo in sella, che poi vai a finire dietro ai reni dell'animale se non a terra.
A Foligno sono uscito anche di mezzo metro col busto fuori dal cavallo per prendere un anello, ad Ascoli, lo ripeto, non si può: ti fai male e non puoi toglierti più di tanto da quell’impostazione altrimenti non si assorbirebbe il colpo. Il moro di Ascoli non ti perdona.
Sono talmente tante le cose da tenere in considerazione che spesso vengono scavalcate dando dei giudizi superficiali. L’equitazione mi ha appassionato perché è un mondo in cui non hai mai tutte quelle certezze: il cavallo non parlando va capito, e rimane appunto un universo che affascina proprio per questo.
Dare dei giudizi da una sedia o da una tribuna senza sentire il parere della persona che stava in sella a 50 km/h con una lancia in mano credo sia riduttivo, dietro all’errore c’è sempre un motivo: sono una persona abituata a non farne un dramma, su quello sbaglio cerco di “studiare”, di capire e di non ripeterlo.
E poi ovviamente c’è da considerare il fattore ambientale: puoi allenarti quanto vuoi, ma non è come farlo davanti a tutte quelle persone e a quel caos, per il cavallo è sempre una sorpresa, specialmente se esordiente od inesperto.
Parlaci del tuo rapporto con il Sestiere di Porta Tufilla: per fortuna dopo le ultime elezioni si è riusciti a ricucire tutto, ma negli ultimi anni c’era stata qualche divisione. Queste tensioni un cavaliere le sente o quando scende in campo si è concentrati sull’obiettivo e tutto si azzera?
Sono da tanti anni a Porta Tufilla e capisco che delle problematiche possano esserci, ci sono ovunque e non sono certo il primo Sestiere, Rione o Contrada ad averle avute. Mi dispiace solo perché ho perso tanti amici veri con cui si era creato un bellissimo gruppo quando ho iniziato: c’è rammarico perché fanno parte dei miei ricordi e delle mie vittorie anche quei gruppi ora più lontani.
Però quando arrivo lì cerco di buttarmi tutto alle spalle, guardare avanti e fare il meglio per me, per Porta Tufilla e per tutto l’impegno che è stato messo durante l’anno nel lavoro, cercando di coronare il tutto al meglio.
Sei riuscito nel Luglio 2008 a riportare Porta Tufilla alla vittoria dopo ben 22 anni, dato che l’ultimo Palio risaliva al 1986 con Gianluigi Poggiali. Cosa hai provato in quel momento? E riuscisti a realizzare immediatamente la portata dell’impresa e quanto significasse per i tuoi Sestieranti o ci volle del tempo per metabolizzarla?
È stato tutto bellissimo. Magari “lì per lì” non capii immediatamente, ma la Quintana è anche questo: la vittoria è un insieme di cose che riescono ad “affilarsi” tutte insieme davanti a te e ti permettono di arrivare all’obiettivo, ed è una cosa veramente bella.
Per voi cavalieri forse nessuna vittoria è più importante di altre, ma crediamo che una delle più significative della tua carriera sia stata quella successiva, perché comportò un “cappotto”, peraltro condita da una inedita tornata di spareggio che non si era mai verificata. Cosa provasti?
Fu una gara fantastica, contro un grande Luca veneri, è anche difficile parlarne e spiegare bene… Sono semplicemente quelle cose che hanno un sapore indimenticabile.
Puoi dirci due parole su Lorenzo Melosso con cui ti sei spesso allenato insieme e che ci ha detto di averti preso come riferimento per quanto riguarda l’allenamento a livello di preparazione fisica?
Lorenzo era un ragazzino quando ci siamo conosciuti a Porta Tufilla ed è stato uno del nostro gruppo quando ai tempi montavo con Franco: abbiamo anche vissuto delle vittorie insieme. Sono stato molto contento della sua vittoria, per lui e per la sua famiglia: sono persone che lavorano molto per la Quintana e per questa Passione, gli auguro di avere una carriera piena di successi.
Lo chiediamo anche a te, come già fatto anche a Luca Innocenzi, quando smetti?
Facendolo come lavoro spero il più tardi possibile, anche perché vorrà dire che quando smetterò sarò abbastanza vecchio e avrò abbassato la guardia, e quindi non sarà bello. Però dai, si vedrà: sarà il campo che me lo farà capire.
Come hai vissuto la notizia dell’annullamento della giostra di agosto?
Male, molto male. Abbiamo lavorato tanto durante tutto l’inverno, ed anche durante il periodo in cui era tutto bloccato, senza nemmeno le persone che potevano venire a dare una mano in scuderia e buttar via tutto questo è un enorme peccato.
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