Buongiorno Vittorio! Puoi spiegarci chi sei e come sei entrato in contatto col mondo della Quintana di Ascoli?
La mia storia è quella di una persona che faceva parte della dirigenza del Rione Bianco (ora Borgo Durbecco) di Faenza, che nel 1977 si trovò senza cavaliere per partecipare al Niballo: Vittorio Zama che aveva corso e vinto il Niballo dell'ano precedente non era nelle possibilità di giostrare. Fu così che “scoprimmo” Pierpaolo Placci e gli proponemmo di correre il Palio.
Lui accettò (a condizione ovviamente di avere una liberatoria a causa del vincolo a vita che vige a Faenza) e fu il nostro cavaliere per 5 anni fino al 1981, poi le nostre strade si separarono e continuò a disputare altre giostre, tra cui la Quintana di Ascoli fino al 1990.
Pierpaolo Placci ad Ascoli è una figura quasi leggendaria: difatti “Riccioli d’oro” è stato l’unico capace di vincere il Palio per Porta Maggiore, qual era il vostro rapporto?
Di grande amicizia, lo stimavo innanzitutto come persona: mi piaceva, e lui come amico (non come esperto di cavalli perché non lo ero) mi teneva molto in considerazione, e tutto questo è continuato anche dopo che ci fu la separazione col Rione Bianco, con una grande stima reciproca nonostante a Faenza non ci si vedesse più, ma solo ad Ascoli.
Quelle tra Rioni e cavalieri sono un po’ come le separazioni tra marito e moglie, lui ha corso il Palio di Faenza con noi con alterne fortune, non è mai riuscito a vincere, ma quando succede non è mai colpa del cavaliere, ma di tutta una squadra. Era un ragazzo con un coraggio da leone, dimostrato sul campo: ricordo che in una tornata del Niballo, partendo da sinistra, si fece anche abbastanza male. Per fortuna fu in grado di riprendere senza conseguenze.
Come ti ritrovasti ad Ascoli insieme a lui?
Pierpaolo era un autodidatta, non aveva nessuno ad aiutarlo dietro di sé, senza una vera squadra ad aiutarlo, lo seguivamo in queste trasferte in cui gareggiava come privato ad Ascoli e dopo che gareggiò nel 1977 e 1978, ci facemmo conoscere anche dal direttivo di Porta Maggiore, riuscendo a convincere sia lui che il Sestiere Neroverde a correre con i nostri cavalli, in quel caso con Pantera.
Puoi raccontarci qualcosa di quella vittoria?
Furono nove centri con tutte e tre le tornate a 59 secondi, e per l’epoca era una grande prestazione, ma Pantera ci tenne tutti col fiato sospeso: sembrava proprio che non ne volesse sapere di partire e ce la stavamo quasi facendo addosso, da mettersi le mani nei capelli!
Ci tengo a ribadire che non gli sono mai state date delle nerbate, era Pierpaolo a non essere abbastanza energico a tirarla nel verso giusto, per fortuna la regola sul limite di tempo per partire fu stabilita solo l’anno successivo.
Fu un vero e proprio evento, una festa incredibile: alla sera fummo tutti ospiti al ristorante di Mario Vitelli, con persone che festeggiavano piangendo. Anche per noi del Rione bianco fu una grande gioia visto che era la prima volta che mettevamo il naso fuori da Faenza e il risultato fu una vittoria.
Cosa accadde negli anni successivi?
Quando ci separammo, Pierpaolo vinse nel 1982 su Corunas, cavallo di un gruppo di amici di Faenza, anno in cui noi come Rione Bianco ci presentammo ad Ascoli con Pierluigi Poggiali a Porta Tufilla. Questo perché all’epoca strinsi un buon rapporto, tra gli altri, con Aliffi e Silvio Tempera di Porta Maggiore a cui dissi “Silvio, mi dispiace della separazione e di quel che è successo, ma noi abbiamo un cavaliere giovane che vorremmo portare ad Ascoli”, e lui riuscì a trovarci un “posto” per Gianluigi nel Sestiere Rossonero, era addirittura disponibile Porta Solestà, ma alla fine fu Marcello Bellini a sostituire Maurizio Lattanzi.
Cosa puoi dirci di Gianluigi?
Gianluigi conquistò il Niballo del 1984 con noi proprio in sella a Pantera e ad Ascoli, dopo una serie di piazzamenti riuscimmo a vincere il Palio nel 1986 con quel fenomenale cavallo che era Borghesia, ma ci fu una contestazione (come sempre ce n’erano in quegli anni d’altronde) da parte di Gianni Vignoli sull’assegnazione di un punteggio ma si risolse tutto con un nulla di fatto.
Nel suo secondo anno alla Quintana (1984) addirittura corse con una mia cavalla, Zarina, e fece molto bene nonostante qualche penalità, piazzandosi al terzo posto.
Purtroppo, le strade si separarono anche con lui che, come Placci, decise di cominciare a correre privatamente: i Rioni sono una cosa e le scuderie private un'altra e quando si corre per un Rione bisogna dedicarcisi anima e corpo, ma quando dopo il Niballo c’è Ascoli, dopo 15 giorni Servigliano, poi Foligno, il tutto diventa più difficile.
Come è proseguito il tuo rapporto con la Quintana di Ascoli?
Dal 1977 all’ultima svoltasi nel 2019 sono venuto allo Squarcia almeno una volta tutti gli anni. Inoltre, ho portato un ulteriore cavaliere ad Ascoli: Andrea Gorini a Porta Romana nel 1998, che disputò l’edizione di luglio.
Sfortunatamente le cose non andarono bene e nonostante i due anni di contratto l’esperienza terminò con quella singola apparizione.
Mi sono fatto anche dei grandissimi amici lì da voi, uno su tutti Giovanni Clerici.
Lo abbiamo intervistato lo scorso anno, qual è il rapporto che vi lega?
Quello di una sincera e grande amicizia, gli voglio bene come ad un fratello. Pensate che volle regalarmi forzatamente la sua cavalla Duchessa che corse a Faenza per il Rione Bianco!
Cosa puoi dirci degli altri Faentini che corsero ad Ascoli?
Ricordo che quando allo Squarcia alle 10-11 di mattina si aprivano i cancelli arrivava Franco Ricci con un camion, scaricava i cavalli, montava, faceva le prove e poi tornava a Faenza a raccogliere pesche, non raccontano balle in merito.
Franco per me rimane il più grande cavaliere di sempre, non solo nella storia di Faenza o Ascoli ma in tutta Italia: ha vinto dappertutto confrontandosi con giostre completamente differenti tra loro, tra cui anche Arezzo.
Un uomo e un cavaliere di una signorilità e una sportività inarrivabili: ricordo che nel 1985, nonostante Gianluigi fosse in lotta con lui per la vittoria, ci aiutò a sistemare un ferro che il cavallo aveva perso, anche se eravamo ravvicinatissimi come punteggio.
Idem Massimo Montefiori che era un coltivatore ma aveva una passione immensa e voglio raccontarvi una cosa al riguardo: è stato l’uomo più temuto dal Moro. In una giostra infatti riuscì a “scassarlo” per ben due volte, dava delle botte inimmaginabili e dovettero ripararlo fermando la giostra in entrambi i casi, lo aveva malmenato. Fu anche lui cavaliere del “Bianco” per due anni, ad Ascoli col potenziale e i cavalli che aveva avrebbe potuto vincere molto di più ma ci fu di mezzo anche un incidente alla schiena e la concorrenza era tanta.
Cosa ne pensi della nostra Giostra?
Forse adesso è meno impegnativa, ma solo perché hanno trovato un sistema per andare al bersaglio più redditizio e meno doloroso: ricordo che ai tempi venivamo ad Ascoli con un fisioterapista che ci faceva delle fasciature ad hoc per attutire quella botta maledetta: il giorno dopo si andava a lavorare non c’era professionismo. Ai miei tempi eravamo degli amatori…
Tecnicamente è affascinante e completa, al momento non c’è nulla da aggiungere, una volta era molto più carente, credo di ricordare addirittura che una tempo sulla pista o appena al di là delle siepi sul rettilineo del forte Malatesta ci fosse un tombino.
Sarà che sono Faentino ma per me lo scontro uno contro uno rimane inarrivabile, però Ascoli viene subito dopo ed è la Giostra che preferisco: devi saper fondere bravura, coraggio e forza. È un amore che dura tuttora e penso di poter dire che la Quintana di Ascoli ce l’ho nel cuore.
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