Ciao Angelo, puoi raccontarci i tuoi esordi alla Quintana di Ascoli?
In realtà io sono romano di origine. Un mio caro amico, a cui curavo i cavalli facente parte dell’esercito, il capitano di fanteria Marcello Riccobon, che fu cavaliere per Porta Maggiore, mandò una lettera a tutti e sei i Sestieri di Ascoli facendo il mio nome a mia totale insaputa.
Una mattina dei primi di Luglio vidi arrivare un automobile targata Ascoli Piceno di fronte al cancello della mia casa in campagna, gli occupanti uscirono dicendomi: “Cerchiamo Angelo De Angelis”, io risposi “Beh sono io”, e loro continuarono con “Siamo di Ascoli Piceno e cerchiamo un cavaliere per la Quintana”.
Così li portai in scuderia perché volevano essere loro a scegliere il cavallo, e fattomi spiegare cosa significasse la Quintana, pur da totale profano, capii in cosa consistesse la giostra e che quindi quella non era una cavalcatura adatta. Gliene indicai un'altra e immediatamente ci mettemmo d’accordo in presenza di mio padre.
Arrivai ad in città il 27 Luglio, e nel frattempo durante il viaggio tra Roma ed Ascoli avevo fatto amicizia con l’avvocato Travaglini (allora caposestiere), e con Aldo Argieri: a loro spiegai la mia situazione e quello che ero.
Nonostante siano passati più di 60 anni lo ricordo come se fosse ora perché quando giunsi al Ponte di Porta cartara c’era una folla per l’epoca incredibile ad aspettarmi: 50-60 persone.
Il Travaglini aveva infatti comunicato che “Arrivava il cavaliere da Roma”.
Appena sceso dall’auto tutti mi applaudirono. Mi rivolsi al caposestiere domandandogli “Avvocà, ma che applaudono?” e lui rispose “Applaudono te!” e io mi domandai “Ma dove sono venuto?”.
Provenivo da un'altra disciplina, quella del salto ad ostacoli, per me gli applausi “prima” non erano contemplati, si ottenevano solo alla fine della prestazione, era strano.
Fui “preso” da tutti i Sestieranti della Piazzarola, poi in serata ebbi un incontro con tutti e sei i Capisestiere della Quintana al vecchio ristorante Tornasacco, insieme ai promotori della Quintana: tante persone che oramai non sono più ricordate ma che hanno lottato per la Quintana di Ascoli Piceno.
Lì mi resi conto di quanto fosse importante la Quintana, pur essendo agli inizi: parlammo di tutte le questioni tecniche, di cavalli, degli altri cavalieri, e io li misi al corrente di quale fosse la situazione tecnica: “Non ho mai fatto la Quintana ma a cavallo ci so andare, vengo dal salto ad ostacoli”.
Feci due prove, partecipai alla Quintana ed arrivai secondo perché il cartellone mi si infilò nella lancia senza uscire, quindi mi dovetti fermare, sfilarlo e ripartire.
Fui battuto da Marcello Formica (che all’epoca non conoscevo venendo da discipline completamente diverse) che in tarda serata dopo la Giostra venne a “Ringraziarmi” dicendomi che “senza il tuo errore io non avrei vinto”, da lì rimanemmo grandi amici.
Parlaci della tua prima vittoria nel 1960
Al primo anno entrai ultimo ed usciì secondo, ma l’anno successivo vinsi il Palio, fu una grande emozione perché ricordo che nel pomeriggio passavo per le rue della Piazzarola e c’erano queste donne sugli usci, all’ombra, col velo nero in testa che facevano il tombolo e mi dicevano in dialetto: “Oh figghie, vide da repertà lu palie quassù, te veleme bbè”.
La sera al Sestiere arrivarono alla piazzetta di Sant’Angelo Magno tutte le autorità della città, sindaco compreso, e quelle stesse donne mi dissero “Chisce è venute sule grazie a te, nen s'era mai viste quassù”, e la cosa mi è e sempre rimasta impressa nella mente, riuscivi a percepire quanto amassero la propria città ed il proprio Sestiere.
Quali sono altri tuoi ricordi legati ad Ascoli e alla Quintana?
Il popolo della Piazzarola fu entusiasmante, ed è per questa ragione che fui così “preso” da quei colori, ma anche da tutta la città di Ascoli, per l’entusiasmo che c’era: ho conosciuto delle persone magnifiche che tenevano alla Quintana, con grandissimi sacrifici per farla emergere, lavorando giorno e notte.
Ricordo ancora la famosa “questua”: si faceva il giro delle abitazioni nel giovedì e venerdì precedenti alla giostra chiedendo delle offerte, ero ospite nello studio del Travaglini quando arrivavano i sacchetti di iuta con i soldi dentro che venivano svuotati sulla sua scrivania… Alchè il console Flaiani soleva ripetere “vabbè su, ce daveme n’vecchià”.
Io all’epoca non capivo cosa intendesse dire, e mi fu spiegato che significava il dover mettere mano ai propri portafogli per fare la Quintana.
Nel 1959 (il mio primo anno ad Ascoli) ci fu l’arrivo da Firenze del Coreografo Turchetti che lavorava in Rai per coordinare il corteo, tutti si sentivano responsabilizzati.
Ricordo che nell’edizione Olimpica del 1960 a Roma disputatasi al Circo Massimo, in molti pernottarono in un istituto sulla Via Appia Antica, ma essendo io di casa nella capitale ospitai quante più persone possibili. Durante la sfilata si camminava tra due ali di folla immensa, con gli spettatori che increduli andavano a toccare i figuranti per capire se fossero “veri” o no, tanto erano eleganti, solenni ed impeccabili.
Poi si svolse la giostra e purtroppo arrivai secondo dietro a Luigi Civita di Porta Romana…
Nonostante siano passati tanti anni, si racconta ancora di una situazione non proprio “chiarissima” accaduta durante questa giostra, vuoi parlarne?
Vi racconto cosa accadde, ma non per fare polemica, semplicemente per riportare i fatti: la Giostra era finita ed avevo vinto, ero pronto per rientrare in campo a cavallo e vicino a me c’era Luigi Civita classificatosi secondo, arrivò il professor Baiocchi che affermò: “Civita devi entrare tu perché hai vinto”.
Civita, pace all’anima sua con molta onestà rispose: “Ma scusa, perché? Ha vinto Angelo!”, “No no, devi entrare te, non può vincere un romano”.
Io gli dissi “Ah professò ma che sta dicendo?”, con lui che si limitò a replicare “Mi dispiace Angelo…”.
Questa cosa mi è risuonata per anni nelle orecchie, ma da grande sportivo l’ho superata subito ed ho dimenticato tutto. Anche con Luigi rimanemmo amici e lui ha sempre riconosciuto la mia vittoria ringraziandomi per il buon senso, era un gentiluomo.
Puoi dirci qualche parola sui tuoi più grandi avversari?
Formica era un signore, non lo conoscevo ma era una persona squisita, nonostante la rivalità si è sempre complimentato con me quando a vincere ero io e viceversa. Nel 1962 battei il record della pista facendo segnare 56 secondi ed ero al secondo posto a 20 punti da lui, riuscii a superarlo solo alla terza tornata.
Gianfranco Ricci era fortissimo e determinato, a mio avviso il miglior cavaliere di tutti i tempi della giostra di Ascoli Piceno.
Ma ci sono stati anche altri grandissimi cavalieri, il “problema” della giostra di Ascoli è che non si vince solo con la bravura, ci vuole anche fortuna: a volte ha vinto anche chi non sapeva andare a cavallo. Può sembrare forte come affermazione ma purtroppo è così.
Successivamente vincesti di nuovo nel 1962, e dopo molte altre Quintane diventasti responsabile del campo dei giochi, puoi dirci qualcosa al riguardo?
Cominciai nel 1971, dopo la mia ultima giostra in cui arrivai secondo dietro a Gianfranco Ricci, purtroppo mi si infortunò il cavallo nella settimana della giostra e con un cavallo mai provato ero in testa fino a quando non presi una tavoletta: commisi un errore io.
Fui il direttore di campo e responsabile tecnico fino al 1993, passarono i vari Formica, Giacomoni, Ricci, Vignoli, Margasini…. Poi smisi perché ebbi pressioni per modificare il tracciato con curve più rotonde: io avevo ereditato dal mio predecessore il percorso precedente, che era di 720 metri, tempo massimo di 1:20 secondi, e ogni volta lo “rifacevo” alla stessa maniera.
C’erano delle curve micidiali visto che i rettilinei erano più lunghi: un conto è andare al bersaglio con quattro “tempi” di cavallo e un conto è andarci con sei, sette “tempi”, si arrivava a delle curve in cui era difficile girare visto che erano “strozzate”, molto poco arrotondate.
Fu un periodo bellissimo anche per il rapporto con tutti i cavalieri, ero ascoltato e loro richiedevano il mio parere anche su questioni tecniche.
Non ebbi mai contestazioni, nemmeno per il tracciato, solo per il fondo che era micidiale, durissimo, ma non ci si poteva fare nulla, ai tempi era un campo da calcio… Ricordo che i miei cavalli, una volta tornati a Roma, camminavano per tre mesi sulle uova tanto le spalle erano indolenzite.
Ormai il fondo è ottimo perché i cavalli galoppano benissimo ma è il tracciato ad essere diverso, e se debbo essere sincero a me tecnicamente non piace. I purosangue sono fatti per correre in allungo, hanno bisogno di distendersi, ma non ci sono rettilinei (se non in 3-4 “tempi”) per poter spingere e andare, dopo tre tempi di galoppo devi richiamare, rientrare ed accorciare, è un uovo, il cavallo non si esprime ed è contratto, perché sempre nelle “girate”, è lì che pagano i cavalieri.
Come hai “visto” dall’esterno i cavalieri che hanno disputato le giostre nel 2019?
Lorenzo Melosso mi ha impressionato molto, è passato da soli 4 centri a Luglio a 8 nell’edizione di Agosto: mi sembra che abbia modificato il suo assetto “sopra”, sono sfumature tecniche di cui bisognerebbe parlare a fondo.
Massimo Gubbini è invece il miglior cavaliere che gareggia attualmente ad Ascoli, per me non ci sono discussioni, è uno che sa montare a cavallo, nonostante qualche sbaglio come nella Quintana di Agosto 2019 dove, anche per colpa del suo palafreniere che non gli ha permesso di gestire l’ultima tornata, ha commesso qualche piccolo errore ma sono sicuro che da grande tecnico qual è ha già capito dove ha sbagliato.
Innocenzi è un altro grandissimo, quasi un “motociclista” (ride ndr), ha dei grandi cavalli che rispondono benissimo e lui “cammina”, non ha paura, si butta. Un campione.
Approfondiamo allora l’aspetto tecnico
L’equitazione è una cosa seria, gli errori nascono sempre quando è il cavaliere che non interviene o non lo fa nel modo corretto, è una questione tecnica, di redini, di lancia: il problema è che molti osservatori che non ci sono addentro parlano a sproposito. Si dice “quello non va bene, quello ha sbagliato..” ma bisogna vedere perché ha sbagliato, sono sfumature che vanno colte. In molti sono disuniti dopo la “botta” ed è un errore, il cavallo fa “due tempi” e prende le tavolette perché si sente “solo”.
Spesso si prendono le penalità perché nel momento in cui si gira e rientra nella diagonale per colpire le redini vengono lasciate per prendere la lancia, il cavallo si butta a sinistra e li si dovrebbe intervenire: redine sinistra e gamba sinistra per tenerlo dentro, perché la cavalcatura si trova fuori equilibrio.
Il Cavallo va portato tra mani e gambe: gli errori nascono dopo il bersaglio perché il cavaliere si disunisce dopo il colpo. Parlare di queste cose è difficile al giorno d’oggi perché la cultura dell’equitazione non esiste più, la si vede sotto un altro aspetto: venendo io da quell' ambiente vedo tutto in maniera più pignola riscontrando tutti i pregi e i difetti dei cavalieri.
Secondo te perché non si è riusciti a fondare una vera e propria scuola di cavalieri Ascolani?
Nel 1994 quando per la prima volta venne effettuata la doppia giostra suggerii di farla correre solo a cavalieri Ascolani per creare una sorta di vivaio, il problema è che di cavalieri Ascolani non ce ne sono quasi stati…
Nel senso che anche quelli bravi come Clerici si sono forse un po’ bruciati da soli e anche perché alcuni sestieri volevano vincere subito e non “aspettare”.
Parlaci infine del tuo rapporto con Ascoli
Io “sò romano de roma” e parlo romano, malgrado siano 50 anni che sto ad Ascoli: ho trovato delle persone squisite sia in ambito Quintanaro che in tutto il resto, ho un enorme rispetto per gli Ascolani, questa città è la mia vita visto che ho passato 50 anni ad Ascoli e 30 a Roma. I Piceni sono sanguigni e vogliono bene alla Quintana, forse esagerano un po ma è normale che sia così, sono brava gente.
Un augurio per la Quintana?
Che i giovani si fermino un attimo a guardare indietro, ai loro genitori, ai loro nonni e ai sacrifici che hanno fatto per portare avanti la quintana, la sua storia va tramandata e preservata, tornando anche alll’ulmiltà delle origini e dei loro padri fondatori che hanno dato tutto.
Posso fare i nomi di alcuni di loro?
Certo Angelo!
Mi piacerebbe ricordare tra tutti l’Avvocato Giulio Franchi, Valori, Don Carlo Cardarelli, Bonfigli, Alvaro Pespani, Emilio Nardinocchi, Danilo Ciampini, Carlo Baiocchi, Nazzareno peci, Rirì Angelini, Mario Vitelli, Nino Aleandri, Mario Raimondi, Vincenzo Petrucci, Nazzareno Flaiani, I fratellli Paoletti, Tempera di Porta Maggiore, Ciabattoni della Piazzarola…
Erano persone che volevano fare e non apparire.
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