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Intervista a Giovanni Clerici

  • Buongiorno Giovanni! Parlaci di come è nata la tua Passione per il cavallo e il tuo amore per la Quintana

Ad Ascoli il primo a “portare i cavalli” è stato Angelo De Angelis (dovreste parlare con lui se volete una bella intervista!), non nel senso che i cavalli ad Ascoli non si conoscessero, ma ricordo che da bambino, quando mio padre lavorava con la squadra comunale del mattatoio, e parliamo di 50 anni fa, tutta la cultura del cavallo è partita da Angelo!

In poche parole, ad Ascoli non esisteva un maneggio, lo aprì Angelo De Angelis accanto alla Ceat dove oggi ci sono mattatoio comunale e Ristorante degli amici. A cavallo a quei tempi ci andavano il dottor Bozzoni ed un'altra persona di cui non ricordo il nome, e poi la famiglia Angelini, il famoso Rirì Angelini, mossiere della Quintana con il figlio Walter.

Allora era una cosetta in piccolo, un circolo e siccome Angelo De Angelis abitava in via Damiano Chiesa, a Porta Tufilla, vicino al Bar Olimpico, e io vivevo due vie più in là, quando mio padre andava a lavorare, Angelo mi portava con sé ed io cominciai a vedere questi cavalli.

“Me piaciè, era frechì, c’aviè sie, sett’anne”, ed Angelo nel frattempo era il cavaliere della Piazzarola, capisci adesso come è nata la Passione?

I cavalli di Angelo erano Milva, Soraya (vincitore della Quintana 1962 ndr), quelli con cui fece i record di pista, io li ho visti e con me anche Maurizio Celani.

Erano gli ultimi anni in cui Angelo gareggiava, avevo 7 anni ed andavo allo Squarcia con mio padre, arrivò Gianfranco ricci che disse la famosa frase “Sono venuto qui per battere Formica”. Difatti vinse all’esordio.

Ricordo che partiva all’indietro col cavallo, guardando il pubblico e spalle alla pista, “me lu recorde come se fusce mò”.

Da qui la grande Passione per la Quintana. Successivamente lui dalla Ceat dovette spostarsi e come maneggio fondò “Il Poggio” sopra a Monticelli alto, dove c’era casa di Maurizio Celani, quando a Monticelli non c’era nulla. Ricordo che il primo cavallo di proprietà di Maurizio gli fu regalato proprio dal padre di Angelo De Angelis, sor Checco.

Questa è la storia della cultura del cavallo ad Ascoli per me e per tanti altri, tutti i cavalieri Ascolani del passato che hanno corso le Quintane sono passati da lui.

  • Successivamente c’è stato il tuo esordio alla Quintana con Porta Tufilla

Si, grazie al comitato di allora tra cui erano presenti Francesco Mazzocchi, Middie LuFrate, Gianfranco Citeroni, Mimì Tosti, Franco Calvaresi, dopo l’addio di Gianluigi Poggiali (vincente nel 1986), mi venne data questa grande opportunità che purtroppo, vuoi per una cosa o per un'altra, non seppi sfruttare al meglio.

Però ti giuro che per quello che avevo imparato e per quello che sapevo fare forse “na ntecchia” avrei meritato di più, ma questo è lo sport, questa è la competizione.


  • Lo scorso anno intervistammo proprio Francesco Mazzocchi, che ci spiegò proprio come con te venne portata ad Ascoli per la prima volta la concezione di scuderia di Sestiere, ci disse anche testualmente che “forse per l’emozione e per il troppo tenerci Giovanni non raccolse quanto avrebbe meritato e per quelle che erano le sue capacità”

Io ero Ascolano e probabilmente mi era talmente entrata in testa la Quintana che ce l’avevo nel cuore, e aver realizzato quel sogno forse mi bruciò i primi obiettivi.

Feci delle prove eccezionali, poi successivamente il giorno della Giostra andai dritto sotto al Cassero, e quello mi ha segnato la vita.

Talmente grande fu la delusione… Non mi aspettavo che accadesse. Purtroppo in quell’attimo persi tutto quello che sapevo fare e anche “chigghie addre anne” ho corso sempre con la paura di sbagliare. Ti allenavi, facevi tutte le cose perfette ma nel momento della gara…Niente! Ad esempio le cassette le ho tutte, ma chi le rivede mai? Quando una cosa ti va male cerchi di dimenticarla. Se veniste in negozio vi accorgereste che non ho nemmeno una foto legata alla Quintana, cerco di non parlarne.

Questo perché ci tenevo, non per la bravura né per la soddisfazione, né “pe fa lu svelte”, ci tenevo a regalare un palio specialmente a Tufilla, sono nato qua, ma quella maledetta curva, quella domenica…

Ripeto mi ha segnato a vita. Sarà stata l’inesperienza, ho tirato dritto e non sono riuscito a girare, pur avendo una cavalla che meritava e sotto al moro ero bravo.

Eppure questo non si può quasi raccontare perché la gente ti risponde “Ma tu sive semare, dove ive? Ma tu sapevi quello che valevi. È per questo motivo che io non parlo mai di Quintana e, al di fuori di questa intervista, non si è mai sentita una mia parola sull’argomento, purtroppo sono stato un perdente.

Ma so quello che ho fatto, so come mi sono allenato, so tutta la bravura che mi era stata trasmessa da Angelo, tutti i “lavori in piano”…

Mi fa onore che stasera voi mi abbiate chiamato, ma cosa posso dire? Ripeto, io ho perso….



Un giovane Giovanni Clerici cavaliere di Porta Tufilla

  • Noi in realtà crediamo che senza la Passione e l’amore viscerale verso la Quintana quest’ultima non potrebbe esistere. Ti abbiamo chiamato proprio per questo, non è importante averne vinte 13, 9, 7 o anche una sola ma conta il fatto che tu ci abbia messo tutto te stesso.

Per quanto amo la Quintana a casa mia mi sono fatto una taverna con tutte le bandiere ed i simboli dei Sestieri, manichini di sbandieratori e musici, il moro con cui mi allenavo, l’abbiamo chiamata "La Taverna del Quintanaro". Mi diede una mano anche Claudio “Temperì” Tempera di Sant’Emidio, con cui sono molto amico.

Il moro con cui mi allenavo me lo feci fare con delle stecche di ferro aggiuntive per renderlo più pesante e duro di quello della Quintana, lo feci rivestire in rame, non riuscì a farlo fare identico perché mi sarebbe costato troppi soldi. Considerate che me lo feci costruire nel 1986, ma lo scudo è quello originale dei tempi, con il panforte dentro, lo tengo come ricordo.


  • Te lo facesti costruire nel 1986, quindi ancora prima di partecipare alla Quintana, tanto era la Passione?

Non so se ricordate ma dopo l’abbandono di Gianluigi Poggiali per un anno corse Massimo de Nardis, a me la Quintana piaceva e volevo presentarmi a Porta Tufilla e quindi con Angelo mi feci fare il moro e cominciai a provare e provare.

Mi feci costruire un “otto” regolare, con la ruspa spianai i campi e vidi che poteva essere cosa buona: parlai con De Nardis che mi presentò a Francesco Mazzocchi che mi diede fiducia e facemmo una prova.

Mi presentai a Porta Tufilla cercando di essere competitivo, non ti dico un professionista perché non lo ero, ma insomma, cercando “de nen fa lu chiappalline”, anche se sappiamo come è andata…

  • Una cosa che pare aver stupito in molti dei nostri lettori ma non noi, sono stati tutti i complimenti che hai ricevuto da grandissime leggende della Giostra come Gianni Vignoli e Paolo Margasini, con addirittura quest’ultimo che ha scritto testualmente che “gli sarebbe piaciuto tu avessi vinto almeno un palio”

Queste persone sono dei signori cavalieri, perché loro da professionisti hanno notato quel poco che io sapevo fare.

Nel mio terzo anno a Porta Tufilla, noi entrammo allo Squarcia con un cavallo veramente da Serie A, “Seba”, ricordo che Paolo Margasini correva con Veronica. Alla prima serie di assalti fummo gli unici a fare tre centri: sul moro io andavo bene ma purtroppo Seba dopo la prima tornata si infortunò, e alla seconda, per amore della Quintana e per onorarla, rientrai col secondo cavallo, anche se sapevamo che non era pronto. Feci una figuraccia, perché si fermò sotto al moro, e sono stato uno dei pochissimi ad incappare in una situazione simile.

Con Porta Tufilla non sono mai andato oltre il sesto posto, ma c’è anche da dire che davanti a me avevo sempre cinque mostri, cinque cavalieri che quasi sempre facevano 9 centri e non ti regalava niente nessuno: Montefiori, Placci, Margasini, Vignoli, Ricci.

Io la Quintana l’ho vissuta con amore e Passione, se il campo era “mpracchiate”, lungo, corto (non c’erano le misure standardizzate di adesso), né io ne gli altri cavalieri ci siamo mai permessi di dire “A”, erano gente che veniva qua, prendeva la lancia, partiva e vinceva la Quintana, non si facevano troppi pensieri, io ho conosciuto questo tipo di persone.

Ricci veniva qui, montava a cavallo con scarpe da tennis e t-shirt, jeans, poi tornava a Faenza a cogliere le pesche: erano Quintanari. Non che non lo siano questi di oggi, cercate di capire…

Quando mi parlate di Margasini e di Vignoli a me si illuminano gli occhi, perché erano persone che comunque sia ti stimavano: anche se arrivavi ultimo sapevano che avevano un avversario. Non è che “te deciè semare”…

Loro vincevano perché erano professionisti, ma sapevano che “se tu na n’tecchia ce l’avive arrrevive pure tu”, purtroppo io non ce l’ho avuta mai.

  • Andando avanti, nel 1997 hai avuto una “quasi soddisfazione”: alla prima giostra in notturna gareggiasti con la Piazzarola e facesti secondo...

Io devo per prima cosa ringraziare quel comitato, in particolare Fefè e Riccardo Minardi, a quest’ultimo in particolare vorrei porgere i miei ringraziamenti per i consigli che mi ha dato, anche se non sono stato del tutto in grado di metterli in pratica, ma soprattutto ditegli “Viva il cavallo e la passione per il cavallo!”.

Un vero professionista, il primo ad arrivare ad Ascoli con la clinica mobile per cavalli, ricordo ancora il veterinario Bortolan.

Con la Piazzarola, avevamo una bella cavalcatura e complici gli errori di Margasini e Paci arrivammo ad un soffio dalla vittoria, ma alla fine vinse Franco Melosso, onore a lui: però è stata una bella soddisfazione.

Quando c’è stato quel binomio che mi ha permesso di “girare” anche io sono stato in mezzo a loro.

  • Nel 2000 partecipasti poi per Porta Romana, esatto?

Vorrei ringraziare anche loro: Torquati, Tulli, De Santis, lo scomparso titino Volponi, tutto il comitato. Le aspettative erano altre ma non si andò oltre un quarto posto.

  • Tornando ai complimenti ricevuti, forse in minima parte ripagano queste delusioni….

L’altro giorno leggendoli “me ce so misse a piagne” e sapete perché? Un anno il cavallo non mi girava, e così andai a Faenza a trovare Gianfranco Ricci insieme a Pio Massi per parlare con lui, e lui mi disse <<Giovanni “tu te dive levà da su n’testa che lu cavalle nen te gira”, non lo fa per una questione mentale tua, al bersaglio sei uno dei migliori, non so perché non vai, ma che t’importa’ Entra la dentro e fai una tornata per come sai di saperla fare>>. Quell’anno feci peggio ancora!


  • Forse emotivamente sentivi troppo la Giostra…

Chi fa sport non può nascondersi dietro all’emotività, e io ho imparato a mie spese questa lezione: ci vuole cattiveria, se non sei tagliato devi lasciar perdere.

Purtroppo, là in mezzo deve andarci chi sa vincere: state sentendo parole forti, ma dette da una persona che ne è consapevole.

Se quando si abbassa la piuma (il segnale di via del provveditore di campo ndr) “te se stregne li amme” dove vai? Probabilmente la Quintana non era per me e forse ci ho messo troppo a capirlo.

Ma tanta era la Passione, quanto avessi nel sangue la Quintana ed il moro che voglio raccontarvi un episodio particolare.

Un anno, se ne avete la possibilità chiedetelo a Gianni Vignoli, mentre facevamo il giro di prova con la lancia “finta” adibita solo allo scopo di farci allacciare il fazzoletto dalla dama, dopo che all’intersezione erano già passati un paio di cavalieri tra cui Gianni, l’uomo sotto al moro lo “lascia”, e lo scudo mi si chiude: arrivo io e all’ultimo secondo, non so perché, ma pensai “E demegghiela na botta”, mi venne l’istinto di dare l’assalto al moro, lo colpii con la lancia a cui ci si allacciava il foulard, senza protezioni, senza spugna, 10 minuti prima che cominciasse la gara vera e propria.

Gianni si girò e mi disse “Tu sei un pazzo!”. Ci mettemmo fianco a fianco sui cavalli a ridere per quello che avevo appena fatto, da matti. La Quintana quasi non vado più a vederla, quando sento i tamburi mi viene da piangere.

Per me partecipare è stato un onore e voi mi avete riportato indietro nel tempo e ho gli occhi lucidi: mi rivedo nella mente Angelo che corre, il suo maneggio, quasi non ci credo che ho fatto parte di tutto questo, a 57 anni mi domando “Ma po' esse vere che so fatte la Quintana d’Ascoli?”

La cosa che più mi è dispiaciuta non è stato il non poter scrivere il mio nome nell’albo d’oro, quanto il non poter festeggiare una vittoria da Ascolano per Ascoli, e poter ripagare le persone che mi hanno dato fiducia.

  • Vorremmo da te per concludere qualche parola sui mostri sacri della Quintana contro cui hai gareggiato avendoli potuti osservare da vicino

Per quelle persone non ci sono parole adatte, basta dire Vignoli con Borghesia, Margasini su Renè, Ricci con Piccolo Fiore, serve altro?

Ricordo bene un anno che le urla di Franco si sentivano fin dietro al Cassero: “DAI PICCOLO, DAI PICCOLO, DAI PICCOLO!”.

Sentivi tre “botte” e già era arrivato.

Magari con Gianni Vignoli che sorrideva e diceva: “ora ci penso io”, ti mettevano paura solo a vederli.

Vorrei quindi limitarmi al lato umano: il più grande desiderio sarebbe potermi rincontrare con Ricci, Margasini quando viene qui in Ascoli per la Quintana passa sempre davanti alla macelleria col motorino a salutarmi, con Gianni Vignoli tuttora se volessi mi ci sentirei

È rimasto un grande rispetto

Ricordo come scherzavano tra di loro Ricci e Vignoli che si sfottevano a vicenda: “allenta le briglie che la Quintana l’hai vinta”.

Un mondo di signori. Posso dire un’ultima cosa?


  • Fai pure Giovanni!

Vorrei davvero ringraziare Angelo De Angelis che mi ha insegnato l’amore e la Passione per il cavallo e per la Quintana, ma anche tutti i Sestieri e tutti i comitati che mi hanno permesso di partecipare alla Quintana, è stato un onore per me.

E soprattutto Vi ringrazio tanto, ma davvero tanto per avermi fatto ripercorre questo pezzo della mia storia che ormai avevo accantonato!

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